Il vino italiano diventerà mai adulto?

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La Master of Wine Sarah Heller è nata e cresciuta ad Hong Kong, ma è anche esperta di vini italiani e sul portale Club Oenologique ci tira le orecchie. Perché continuiamo a presentarci con una specie di sudditanza imitativa nei confronti della Francia, e per presentarci all’estero troppo spesso finiamo per dire che siamo “la Borgogna d’italia”, “la Provenza d’Italia”, quando non addirittura “la Champagne d’Italia”. Anzi, in quest’ultimo caso la frase è: “Abbiamo superato lo Champagne”, che fa già ridere di suo.

Eh, no. Così non va. “Finché il Barolo o l’Etna rimarranno ‘la Borgogna d’Italia’ – ci rimprovera Sarah Heller -, non saranno mai il vertice di niente. Preferirei che i produttori italiani esportassero in modo proattivo il valore del loro vino, altrimenti resteranno sempre uno stravagante cugino campagnolo dei francesi (e Giulio Cesare non la troverebbe ironica questa cosa?)”.

Qual è il problema? Oh, secondo me il problema è semplice e gigantesco insieme. Io dico che si chiama “mancanza di identità”. O almeno carenza. In molte zone d’Italia è ancora difficilissimo far passare l’idea di un’identità territoriale della produzione di vino. Perché si preferisce lavorare per imitazione. Va di moda la barrique? Tutti con la barrique. Va di moda l’anfora? Tutti con l’anfora. Va di moda la bollicina? Tutti con la bollicina. Va di moda il rosé? Tutti con il rosé. A queste condizioni, quali “valori” volete mai che si esportino?

È questo che distingue i francesi da noi. Loro all’identità dimostrano (spesso) di crederci, e la inseguono e la rispettano. Noi ci contentiamo di essere “la Borgogna d’Italia” o roba del genere, ma finché sei la copia di qualcuno, be’, non è che puoi nutrire chissà quali sogni di gloria. Si tratta, in fondo, di un atteggiamento infantile. Chissà quando diventeremo, finalmente, adulti.