Il vino deve offrire una forma di purezza

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“Il vino non è indispensabile all’uomo. Per continuare a piacere, deve offrire una forma di purezza”. La frase non è mia, è di Maurice Barthelmé. Magari all’appassionato di vino il suo nome dice poco, perché non figura a lettere cubitali sulle etichette dei suoi vini. Le bottiglie escono con marchio Albert Mann. Sotto, più piccolo, è scritto: “Mise en bouteille au Domaine Albert Mann – Maurice et Jacky Barthelmé – Vignerons à Wettolsheim”. Lui si occupa della vigna.

I bianchi alsaziani di questa casa d’Alsazia rappresentano alcuni dei massimi picchi qualitativi che io abbia avuto la fortuna di avere nel mio calice. Tra i più grandi vini che io abbia mai bevuto c’è un loro Gewurztraminer del Grand Cru Furstentum, il Vieilles Vignes 2003. Mi spinsi ad assegnarli 100 centesimi di valutazione. Straordinario. Ne ho ancora una bottiglia, vorrei berla in un’occasione speciale, perché è un vino speciale.

La frase l’ho letta su La Revue du Vin de France e credo che Maurice Barthelmé abbia ragione. Ormai è sempre più raro che il vino venga considerato come un alimento necessario. Una volta, quando c’era poco da mettere in tavola e servivano energie, il vino non poteva mancare. Oggi no. Oggi la componente edonistica è predominante. Per fortuna. A fare la differenza è la purezza, che è qualcosa che va oltre la finezza. La finezza è un requisito tecnico. La purezza espressiva è quel che fa grandissimo un vino, e nasce dal rispetto del terroir, intenso come insieme di vigna, di suolo, di stagioni, di pensiero, di storia, di tradizione.