Vinitaly, se invece tornassimo alle Giornate del vino?

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Una situazione straordinaria non può essere affrontata con soluzioni ordinarie. Ho sempre creduto che debba essere così.

Oggi stiamo vivendo una situazione straordinaria e trovo dunque logico che si prendano misure altrettanto straordinarie da parte di chi ha la responsabilità pubblica. Io credo che questo dovrebbe accadere anche per chi riveste livelli di responsabilità che sono di natura privata, ma che hanno un forte interesse pubblico. Come accade per le fiere.

Il Vinitaly, che è di gran lunga la maggior fiera italiana del vino e una delle due più importanti al mondo, è stato spostato a metà giugno. Ho già espresso le mie perplessità. Ritengo che, se non si potevano confermare le date originarie, fosse opportuno cercare soluzioni alternative. Attenzione, ho detto soluzioni alternative, non ho detto date alternative.

In questi ultimi anni Veronafiere ha messo in campo un impegno enorme per fare del Vinitaly una fiera per professionisti del settore del vino, un’occasione di business. Gliene va dato atto. Il problema è che per la stragrande maggioranza dei vini italiani gli affari non si fanno in estate. Si fanno prima. Rinviare il Vinitaly a metà giugno dubito che possa rivelarsi una scelta che favorisca gli affari, sia dal lato internazionale che da quello nazionale. Semmai, questo sì, potrebbe essere un segnale di positività, di ripresa. Ma serve davvero portare migliaia di espositori dentro a dei padiglioni torridi per dare questo segnale, quando temo che i visitatori saranno in percentuale altissima gli appassionati?

Credo che si potesse (e che ancora si possa) tentare di fare una scelta diversa. Quella di rinunciare per un anno a Vinitaly per tornare a realizzare, come ai primordi della rassegna, ma in forma nuova, le “Giornate del Vino Italiano”. Era questo il nome dell’iniziativa del 1967 da cui prese poi le mosse il Vinitaly. Tornare a quel modello per un anno non mi pare scandaloso.

Le nuove “Giornate”, risposta straordinaria a un contesto straordinario, potrebbero avere un taglio più marcatamente consumer e retail. Non ho dubbio che il mondo “organizzato” del vino italiano, a partire dai consorzi di tutela, potrebbe dare una risposta entusiastica. Perché se si tratta di fare promozione verso il consumatore, allora i soggetti che devono esercitare questo ruolo non sono le singole aziende, bensì le loro organizzazioni. E c’è voglia di ripartire.

Non solo. Se il Vinitaly 2020, a causa dello scarso afflusso di trader e di un’assoluta rilevanza di utenti finali, dovesse fare un passo indietro rispetto alla lodevole rincorsa verso un suo progressivo riposizionamento (non cito questa parola a caso) in una rassegna realmente business oriented, avremmo tagliato le gambe ad anni di oneroso impegno.

Valeva e vale tuttora la pena, a mio avviso, pensare di fare qualcosa di diverso rispetto a Vinitaly. In fiera, in città e nella provincia c’è spazio e il web e i social network offrono altre praterie. Sono fermamente convinto che Veronafiere abbia al proprio interno le professionalità per affrontare una simile sfida.

Particolare non banale: le “Giornate del Vino Italiano” erano in settembre. Sottolineo, in settembre.


4 comments

  1. Franco Ziliani

    in settembre tanti produttori sono già impegnati in vendemmia…

  2. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Esatto, Franco. Proprio per questo la mia proposta guarda ai consorzi e alle associazioni. Senza escludere le aziende di maggiori dimensioni. Non propongo di spostare Vinitaly a settembre, propongo di fare, per un ammo, una cosa diversa.

  3. Gabriele

    Buona sera Angelo.
    Interessante la sua proposta, ma in Settembre parecchi vignaioli saranno in vendemmia e non tutti hanno la possibilità di fare entrambe le cose nello stesso periodo…
    Grazie

  4. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Infatti la mia proposta si rivolge principalmente alle organizzazioni del vino: consorzi di tutela, associazioni di categoria ecc.
    E comunque settembre non è un dogma. A me interessa l’idea complessiva.

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