Uberizzare il vino?

Avete presente Vivino? È quella app che consente di avere notizie di un certo vino semplicemente fotografando l’etichetta con lo smartphone. Sta conoscendo un successo enorme. Ma ci sono altre applicazioni che cercano di percorrere strade simili.

Qual è l’evoluzione di questi servizi? Non ci avevo mai pensato, ma la risposta è semplice: collegarsi direttamente con gli shop on line per fare in modo che chi ha cercato un certo vino lo possa anche comprare. Un bel business, non c’è dubbio.

Non ci avevo pensato, ho detto, anche se l’accoppiata app-ecommerce è perfino ovvia. Però ne ho dovuto leggere sulla Revue du Vin de France per rendermene conto.

Ora, come sottolinea il direttore della Revue, Denis Diderot, se la faccenda ha un potenziale aspetto positivo, che è una sorta di “democratizzazione” dell’accesso al vino, ci sono anche alcune ricadute che possono essere un po’ inquetanti. Una, ad esempio, è che, se la cosa attecchisce, la sopravvivenza delle enoteche tradizionali sarà durissima. La seconda è che le app potranno orientare il consumatore verso bottiglie che rispondano a un gusto standardizzato.

Avete presente Amazon? Se comprate un libro o un cd, vi compare un suggerimento che dice, grosso modo, che chi ha acquistato quel che avete scelto voi ha ordinato anche dell’altro, compatibile come stile e come gusto con il vostro acquisto. Lo fanno per invogliarvi a spendere di più, ma di fatto vi chiudono dentro a un preciso steccato del gusto, e il gusto è quello coerente con l’acquisto che avete già fatto. Non se ne esce.

Ecco, col vino potrebbe accadere la stessa cosa, facendo venir meno il piacere della scoperta, della curiosità. “Uberiser le vin?” si chiede Diderot. Il rischio che ci sia l’effetto Uber anche nel mondo del vino, in effetti, non è così remoto. Basta una app e quel che pare donare il senso della libertà può diventare una prigione.