Turismo, vino e digitale, due idee per il ministro

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A margine di Cheese, l’ormai storica rassegna dedicata ai migliori formaggi del mondo organizzata a Bra da Slow Food, si è svolto un convegno sul turismo enogastronomico. Ospite centrale della tavola rotonda era il ministro del Turismo Massimo Garavaglia. Nel comunicato stampa diffuso dagli organizzatori leggo che il ministro ha fatto le seguenti affermazioni. Prima, l’Italia “ha un problema, quello di essere primo in Europa a gennaio nelle ricerche online e di ritrovarsi in quinta o sesta posizione per presenze a fine anno, al momento di verificare i dati”. Seconda, a quel problema esiste una soluzione: “Per vincere la sfida che ci attende, cioè guadagnare nuove quote di mercato, è sufficiente organizzarsi meglio, mettere a sistema le risorse. Occorre far conoscere le ricchezze di cui disponiamo”. La terza: “Grazie al digitale riusciremo a far conoscere anche l’ultimo pezzetto del nostro bel Paese”.

Purtroppo, ritengo che, ad ora, la seconda e la terza affermazione non siano le soluzioni al problema, bensì la loro origine. E mi spiego.

Per vincere la sfida, caro ministro, non è sufficiente “organizzarsi meglio”. Occorre invece un netto cambio di mentalità, soprattutto nel cosiddetto, e raramente tale, “turismo enogastronomico”. Se togliamo certe limitate aree della Toscana e le Langhe, credo che in Italia non esista una vera offerta di turismo enogastronomico, semplicemente perché non c’è la consapevolezza di cosa sia tale forma di turismo, molto sviluppata invece in alcune regioni della Francia o degli Stati Uniti. In genere, qui da noi si ritiene che per parlare di turismo enogastronomico basti aggiungere la visita a una cantina o a un ristorante a un comunissimo pacchetto turistico. L’enogastronomia viene considerata una specie di complemento turistico, niente di più. Si tratta di un errore fatale. Infatti, chi vuol fare turismo enogastronomico è interessato all’enogastronomia, e semmai è il resto a poter fare da complemento. Chi va in Langa per il tartufo è interessato al tartufo, e quando è là magari, se ne ha tempo e voglia, visita anche un museo. Idem per chi va a Montalcino per il Brunello. L’enogastronomia non può che essere il perno del turismo enogastronomico, ma oggi non è così, perché non c’è questa mentalità. Non è dunque una mera questione organizzativa.

Poi, il digitale. Sì, certo, il digitale è un volano straordinariamente importante per il turismo, e lo è anche per il turismo enogastronomico. Ma la situazione del digitale è a dir poco drammatica in tantissimi di quei piccoli luoghi che costituiscono l’intelaiaura sociale dell’Italia, di ogni “ultimo pezzetto del nostro bel Paese”. Il digitale, ad oggi, è un lusso dei grandi e medi centri urbani. I piccoli centri sono tuttora alla preistoria della comunicazione. La collina e la montagna italiane sono spesso prive di connessione. Questo è dunque un altro problema. Ne parlo con consapevolezza diretta: vivo tra il lago di Garda veneto e il suo entroterra del monte Baldo, un’area che totalizza tredici milioni e passa di presenze turistiche annue. Ebbene, non c’è fibra ottica, si usa la parabola sperando che la linea non sia troppo satura e per telefonare a volte bisogna percorrere qualche chilometro nella speranza di trovare segnale. Se il digitale non c’è nemmeno in una zona come la mia, che è tra le più fortemente turistiche del Veneto, che a sua volta è una delle regioni più fortemente turistiche e più tecnologicamente avanzate dell’Italia, figurarsi che cosa accade in territori meno fortunati di questo.

Se per acso quest’articoletto finisse, non so come, nella sua rassegna stampa, prenda nota della questione, per favore, ministro. Perché sono d’accordo con lei: queste due cose – l’enogastronomia e il digitale – sarebbe le soluzioni al problema. Ma se non funzionano, sono esse stesse il problema. Un grosso problema.


3 comments

  1. Rosa Lotito

    Perfettamente d’accordo

  2. Niudjdk

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  3. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Grazie!

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