Tu chiamali, se vuoi, bollicini (proprio così)

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Gli spumanti italiani? Chiamateli “bollicini”, al maschile. Non lo dico mica io, che non sono nessuno. Lo dicono i capi di quella corazzata dell’editoria vinicola che è Wine Spectator. Nell’editoriale del numero di ottobre Marvin R. Shanken e Thomas Matthews hanno scritto proprio così: “Il you love bubbles, we hope you’ll try Italy’s bollicini“. Che in ogni caso è una gran bella cosa per i nostri vini con le bolle. Al maschile.

A proposito: e quali sono i “bollicini” italiani che vale la pena di provare, secondo da rivistona americana? “Everyone knows Prosecco now”, scrivono, e dicono anche che il Prosecco oggi lo conoscono tutti “per una buona ragione”, e la “buona ragione” è legata al suo essere un vino dal fruttato leggero e dai “lovely” profumi floreali, facilmente accessibile da parte di chiunque. “Ma gli spumanti del paese – aggiungono – offrono altro ancora”, dai Franciacorta e i Trento “Champagne-inspired” al Lambrusco. E stop, ci si ferma a questo quartetto. Con il Prosecco a guidare però la cordata.

Del resto Alison Napjus nel suo servizio sulle bolle italiane, dentro al numero ottobrino di Wine Spectator, lo dice chiaro e tondo: “Nel mentre gli altri spumanti d’Italia sono tutti da scoprire, la regione del Prosecco del nordest italiano, con le sue delicate bollicine, si è pienamente integrata nella consapevolezza dei wine lover americani”. Niente meno. E adesso provate a chiamarlo ancora “prosecchino”, se ne avete il coraggio.