Tu chiamala se vuoi nosioletta

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Quando giri per il Trentino può capitare che ti venga offerta una Nosioletta. Fabio Giavedoni, che è (con Giancarlo Gariglio) il curatore della guida di Slow Wine, s’incavola (con buona ragione) quando, dopo avergli fatto assaggiare di tutto e di più, il produttore di turno gli dice: “Adesso ti faccio provare la Nosioletta”. L’ha raccontato a una degustazione a Santa Massenza, zona di nosiola. “Perché Nosioletta?” ha chiesto. Giusto, perché usare il vezzeggiativo per il bianco fatto con l’uva nosiola? Mai capito neanch’io. Così si rischia di sminuire il valore di quest’uva autoctona e del vino che se ne trae.

Il problema vero, però, è un altro. Il problema è che l’indigena nosiola è già stata sminuita dalla stessa viticoltura trentina, che non ci ha creduto, che ha guardato in altre direzione. La nosiola rappresenta appena lo 0,6 per cento del vigneto totale della provincia. Il 55 per cento di tutte le vigne trentine sono di pinot grigio e di chardonnay. La nosiola è là in fondo, in un angolino, ridotta a niente. Peggio del marzemino e della schiava, che almeno sono intorno al tre e al due e mezzo per cento. Il teroldego al sei.

Per me il bianco fatto con la nosiola a ‘sto punto lo possono chiamare come vogliono, purché continuino a farlo, purché questo piccolo patrimonio viticolo non scompaia. Chiamatela nosioletta, se volete, ma producetela. E poi può dare belle bottiglie, e dunque perché non insistere?

Le belle bottiglie le abbiamo assaggiate nella degustazione cui accennavo. Sala gremita per l’invito dell’associazione Vignaioli del Vino Santo e del consorzio Vignaioli del Trentino nell’ambito di un evento che porta il titolo di DiVinNosiola. Non me l’aspettavo così tanta gente al cospetto della Nosioletta. Vuoi vedere che il vento sta cambiando?

Qui di seguito do un cenno di tutte le versioni di Nosiola che abbiamo avuto nel calice (vedrete che sorprese), ma prima un’altra domanda: visto che per tutti è già la Nosioletta, e ha pertanto un’impronta popolare di suo, e dunque non c’è rischio di intaccare fantomatici “blasoni”, perché non buttarsi decisamente sul tappo a vite? Aiuterebbe la Nosiola nell’età giovanile, garantendone l’esuberanza acida. Aiuterebbe la Nosiola nell’età adulta, togliendo di mezzo quelle deviazioni ossidative che non le rendono giustizia. Aiuterebbe il bevitore a capire.

Giovanni Poli, 2018. Prova di botte. Fruttatino, semplice. Figlio di un’annata di carica dopo due anni climaticamente disastrati. (79/100)

Donati, 2017. La nocciola selvatica, da cui viene il nome dell’uva, si sente eccome. Poi, comincia a uscire un che di spezia. (78/100)

Maxentina, 2017. Ancora la nocciola, il tratto distintivo. Tracce di fieno, accenni di miele d’acacia, sfumature mandorlate. (80/100)

Gino Pedrotti, 2015. Secchissimo e complesso, figlio della macerazione. Paglia essiccata, spezie fini, legname di bosco. Tannico. (88/100)

Fratelli Pisoni, 2014. Ecco la bellezza dell’annata fresca! Acidità spiccata, sale, una giovinezza vibrante, scattante. Magrolino, ma che beva. (85/100)

Foradori, 2010. Un bianco che spiazza, un po’ scorbutico e pungente all’olfatto, nervosetto al palato. Marino. Bel finale tannico. (82/100)

Vignaiolo Fanti, 2008. Secondo molti, il più bel vino della giornata. La mia bottiglia non era felicissima. Fascinosa florealità, comunque. (84/100)

Francesco Poli, 2006. Un vino sperimentale. Ambrato. Miele al naso (un po’ di appassimento), acidità spiccata al palato, finisce sul tannino. (80/100)

Cesconi, 2004. Giallo con riflessi verdi, segno di giovinezza, e giovanissimo è all’assaggio. Il binomio acidità-tannino sugli scudi. (90/100)

Pojer e Sandri, 1998. Tra il verde e il dorato, affascinante livrea. Naso citrino. Bocca avvolgente, la nocciola che torna. (80/100)

Pojer e Sandri, 1983. Una magnum di quelle all’epoca destinate all’Enoteca Pinchiorri. Un bianco floreale, salato, tuttora vitale. (89/100)