Se ti piace il pesce, gioca a bocce!

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Lo ammetto: quando chi me l’ha presentato mi ha detto che il suo ristorante era “alla bocciofila di Scandicci”, popoloso comune alle porte di Firenze urbanisticamente ormai integrato (nonché collegato dalla celebre tramvia) col capoluogo regionale, ho pensato che fosse uno scherzo.
La mia diffidenza è cresciuta quando, poi, mi hanno specificato che la sua specialità erano i piatti di pesce.
Ma poiché il comune amico era degno di fede e la nuova conoscenza mi pareva simpatica, ho deciso di approfondire la questione.
Come? Andando a provare.
Risultato: era tutto vero.
Lui si chiama Tommaso Cintolesi e, come tanti chef, ha avuto una vita da romanzo (ma nel suo caso, forse, anche di più: fatevi raccontare, tra una portata e l’altra, le rocambolesche esperienze in Russia, ad esempio). Il ristorante è veramente all’interno della società bocciofila di Scandicci e si chiama, per l’appunto, “Calino”, che ho scoperto essere un importante colpo del gioco delle bocce.
Il locale è semplice, carino e luminoso, con una parete tutta vetro, una grande lavagna col menu, apparecchiatura spartana (ma bicchieri giusti) e una trentina di coperti. E dove ti aspetti di trovare tutto, vista la location, tranne grandi piatti di pesce. Anche perché il nostro ha pensato bene di mettere bene in vista, fuori, il cartello “pizzeria”. Sebbene di pizza ne faccia poca (ma buona!) o punta, e perfino di malavoglia, a chi gliela chiede.
Lui infatti in testa ha solo il pesce.
Che è davvero ottimo e pure cucinato fuori dalle righe.
Lavorato con maestria e inventiva, crudo o a basse cotture, abbinato creativamente, sperimentato, rivisitato di continuo da un Tommaso che praticamente non smette mai di cucinare e di fare prove. Ci sono stato a cena un paio di volte con degli amici e, su una dozzina di portate, una buona metà si sono rivelate pietanze studiate apposta per l’occasione o novità assolute.
Più che cuoco, non a caso, lui si definisce infatti artigiano. E un po’ lo è. Mette insieme le cose nel nome del pesce. Scova i più strani e li sposa, ripesca e rielabora vecchie ricette, accozza ingredienti che non diresti mai.
Ecco, ad esempio, quello che ho assaggiato nel corso delle due serate passate lì:
tajarin (secondo la ricetta classica piemontese con 50 rossi d’uovo) conditi con burro, salvia e pesce castagna; percebes della Galizia; tartara di pesce castagna con cecina de leon (la bresaola spagnola, leggermente affumicata) condita con olio, sale, mandorle e fagiolini (in alternativa, con leche de tigre, la base del ceviche peruviano); pane burro e acciuga (“ma lavorata in casa: rappresenta la trasversalità dei miei menu”, dice lui); tartara di gambero rosso carabiniere servito con un’emulsione degli umori della testa e uova di aringhe affumicate; sfoja lorda, specialità romagnola (la servono di norma farcita di squacquerone) trasformata in piatto di pesce con un ripieno di ricotta di pecora e pesce sciabola, in ragù di calamari alla salvia; foie gras mi cuit (“fatto in casa da me”, assicura) servito con sale Maldon; zuppetta di pesce fatta con i cascami di pesce arrostiti e servita con i tajarin spezzati; crostoncino di carpaccio di tonno caldo e foie gras mi-cuit; insalata scomposta di tonno sott’olio fatto in casa in tre tagli diversi (testa, ventresca e filetto) e patate al pesto di menta, fagioli borlotti sgranati, cipolle di Tropea; fritto di acciughe, gamberetti rossi e patate biscotto.
Scegliendone la metà si spendono, tutto compreso, 50 euro e si esce non solo satolli, ma gastronomicamente assai soddisfatti.
Quanto ai vini, la carta non c’è. In compenso c’è lo scaffale: ti alzi e li scegli. Sono una ventina di etichette che il Cintolesi seleziona di persona tra quelle che gli piacciono, senza star troppo dietro a nomi e mode. Tutte un po’ strambe, fuori passo, rare o inusuali, dal Feldmarschall di Tiefenbrunner al millesimato di Pedrotti, dal Soave di Bertani al Vermentino di Colli di Luni di Terenzuola, dalla Vitovska di Zidarich allo spumante di Nosiola di Bortolotti.
Per motivi a me incomprensibili, Tommaso-Calino ha paura però che il contesto bocciofilo non giovi al prestigio del locale e vagheggia traslochi. Secondo me, sbaglia. Non tanto perché, almeno in inglese, “bowl” vuol dire tanto boccia quanto acquario per i pesci, ma perché un’originalità di situazione come questa è di quelle da cercare col lanternino.
Speriamo lo capisca in tempo.
Trattoria Calino – via di Scandicci Alto, 1 – Scandicci (Firenze) – tel. 347 9046788

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