Il ritorno delle vigne a piede franco

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La sostituzione avvenne dopo il disastro provocato dalla fillossera. Si scoprì che innestando le viti europee sulla vite americana, gli effetti nefasti dell’attacco della bestiaccia venivano fermati. Dunque, si agì. Si era tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, grosso modo. Si mise mano al radicale rifacimento dei vigneti. Oggi quasi ovunque le viti sono innestate su piede americano. Poche sono rimaste franche di piede, e prevalentemente si tratta di vigneti su suoli sabbiosi, dove l’attacco della fillossera è più difficile.
C’è però chi sostiene che con l’innesto su vite americana, i profumi, i sapori delle varietà europee siano cambiati. Per questo si invoca il ritorno alla vigna a piede franco.
Tra i sostenitori di questa teoria ci sono due vigneron di Galliac, in Francia. Sono Robert e Bernard Plageoles, padre e figlio. Fanno militanza attiva per il ritorno ai vitigni antichi a piede franco, contro quello che secondo loro è il rischio di una standardizzazione del gusto.
Li ha intervistati La Revue du Vin de France. “La vigne è la fonte della vita del vino! Se c’è del vino, ci dev’essere della vite… e nel mezzo, c’è un individuo, un vignaiolo o una vignaiola. Senza di loro, basta vino… Cominciamo dunque a rendere omaggio alla vite selvatica, madre teorica di tutte le varietà di vitigni”, dicono.
Poi, gli si chiede se con gli innesti praticati nel tempo si sia anche modificato il gusto del vino. E rispondono: “Assolutamente! Quando facciamo una comparazione tra i vini provenienti da vigne prefillosseriche e le altre, ne restiamo sorpresi. Sono due vini ben differenti. Da un lato, il vino è allo stato puro, dall’altro, è stato sposato. Un matrimonio con cosa, con quale porta innesto? Ci sono delle variabilità, inevitabilmente”.
Ora, io non sono un agronomo, e dunque non posso entrare nel merito scientifico di simili argomentazioni. Ma mi viene da dire che hanno ragione, e anzi lo sospetto da lungo tempo che le cose stiano così, che sia impossibile avere un’idea di come fossero i vini di prima della fillossera, essendo scomparse le vigne “realmente” autoctone dopo gli innesti. Sostengo anche, per intuizione e non per prova, che il portainnesti possa influire sul vino in maniera ancora più netta dei lieviti che si adoperano.
Mi sa, così a naso, che hanno ragione Robert e Bernard Plageoles. Mi piacerebbe poterli assaggiare i loro vini da antiche varietà.


1 comment

  1. Maurizio Gily

    gli aromi e i caratteri di un vino dipendono dal suo genotipo, che è quello della marza. Il portinnesto può influire, eventualmente, sull’epoca di maturazione, la vigoria e su parametri connessi, ad esempio il rapporto zuccheri acidità. Ma non è da sopravvalutare. In Piemonte ci sono state prove di confronto, le ha fatte viten, e non ha trovato differenze particolari. Del resto in tutto il Cile e buona parte dell’Australia si pianta franco di piede perché non c’é la fillossera. Sono vini migliori e più “veri” dei nostri? Non credo. ANche qui molta fiosofia e poca scienza. Non c’è nessun matrimonio, o è un matrimonio non consumato: l’innesto non è un incrocio. Quello che invece è sicuro è che l’innesto è un trauma (forse quello a omega al tavolo in particolare) e accorcia la speranza di vita della pianta. Ma questo vale dove non c’é la fillossera.

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