Toh, quel vino postmoderno somiglia al mio vinino

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Questo è un articolo autoreferenziale, ed essendo autoreferenziale dico che mi ha fatto parecchio piacere leggere il report di Fabio Giavedoni, una delle anime di Slowine, dalla giuria dei Decanter World Wine Awards. Mi ha fatto piacere perché scrive che “lo stile prevalente nei vini premiati era quello dell’eleganza e della misura, dell’armonia degli elementi e della bevibilità: sono state bandite, da ogni panel di degustatori, le ridondanze e gli eccessi (di struttura, di dolcezza, di grassezza, di legno…)”. Infatti Fabio già nel titolo parla di un “post modern style” dei vini italiani che “piace e vince in tutto il mondo”. Ed è un “post modern style” che si contraoppone a quel “modern style” che, come scrive sottolinea Giavedoni, “ha preso avvio negli anni Ottanta, con l’introduzione delle barrique e la comparsa dei vini scuri, morbidi e concentrati”.

Ora, il mio piacere deriva da due considerazioni.

La prima è che sono proprio questi i vini che mi piacciono, quelli cioè orientati alla finezza e all’eleganza e non già alla potenza e alla concentrazione.

La seconda è che nel 2009, quando lanciavo il mio “Elogio del vinino”, ossia il “Manifesto per la piacevolezza dei vini da bere”, che diceva nella sostanza la stessa cosa della “postmodernità” vinicola, mi sentivo non già isolato, ché ricevetti anzi molti incoraggiamenti, ma di certo minoritario.

Scrivevo allora che “rifiutiamo l’omologante gusto internazionale nel quale è smarrita ogni specificità, sostenendo l’unicità del vino che interpreta il sapere gastronomico d’un territorio” e che “rifuggiamo dall’ossessiva ricerca della perfezione enologica, preferendo il vino nel quale si sostanzi l’irripetibile comunione dell’ambiente naturale e dell’ambiente umano”. Ecco, i vini fini ed eleganti sono tuttora minoritari, certo, ma non sono più cose da accolite carbonare.