Stupirsi per il sale rosa nel vino

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In questi ultimi giorni ho colto lo stupore di molti, sui social, per la notizia che i Nas avrebbero scoperto una cantina che “correggeva” il vino con “sostanze non previste dal disciplinare“, e fra queste il sale rosa dell’Himalaya. Ecco, più che il sospetto che si usassero non meglio precisati “integratori alimentari“, ha fatto sensazione questa storia del sale. Probabilmente perché il sale di varie tipologie oggi va di moda. Trovi i vasetti perfino al supermercato, mica è solo roba da chef. Dunque, ci sta che la notizia sia di quelle che destano curiosità.
A me tuttavia questa cosa del sale non stupisce per niente.
Il fatto è che l’aggiunta di sale nel vino appartiene ad atavici usi di cantina che hanno attraversato i secoli. Oggi è una pratica vietata, d’accordo, ma credo – temo – che ci sia tuttora qualche vecchio mestierante che la utilizza e che magari la fa utilizzare. La scoperta dei Nas mi pare che in qualche modo lo attesti, anche se non si tratterebbe di comunissimo sale da cucina, bensì d’un più nobile sale rosa himalayano.
La salatura del vino pare la la facessero già i greci e i romani. Si dice usassero talvolta l’acqua di mare e che ritenessero di poter così “addolcire” il vino e scongiurare il rischio di prendersi un brutto mal di testa. Ma non è solo cosa tanto remota. Tra i miei ricordi di ragazzo ci sono anche le “correzioni” del vino col sale nelle botti di cui sentivo raccontare in campagna. Posso pensare che ci siano ancora dei contadini che – magari su suggerimento di qualche “esperto” – lo fanno, per accrescere la sapidità del loro vino, là in cantina.
Ripeto: non è pratica ammessa. Ma non è neppure da stupircisi granché. Mi inquieta di più sapere che potrebbero esser stati utilizzati altri “correttori”, di cui nulla per ora si sa di preciso.