Sì, il Cirò Classico Superiore può essere grandissimo

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A Cirò si dicono convinti che la strada nuova da imboccare sia quella di dare la docg, la denominazione di origine controllata e garantita, al loro Cirò Rosso Classico Superiore e in questo senso si sta impegnando il Consorzio di tutela locale.

Personalmente non sono un fan delle docg, perché di fatto quella fra doc e docg è una distinzione che ha senso ormai quasi solo per noi italiani, visto che entrambe ricadono sotto la comune categoria delle dop – le denominazioni di origine protette – comunitarie. Non sono a maggior ragione neppure un fan delle docg che riportino la menzione Superiore, perché le esperienze sin qui realizzate in tal senso si sono talora rivelate dei flop, com’è il caso del Soave Superiore e del Bardolino Superiore, di fatto pressoché abortiti. E non poteva che essere così, a mio avviso, visto che a livello internazionale il termine Supérieur è noto quasi solo per il Bordeaux, e i Bordeaux Supérieur non è che oggettivamente siano il massimo del territorio bordolese, ben al di sotto delle appellation comunali e appena sopra (e a volte in termini di prezzo non è nemmeno vero) ai Bordeaux generici. Tuttavia, ben venga la docg se questa può servire ad accendere il riflettore su un vino come il Cirò, che ha tutti i requisiti per essere ai vertici del panorama delle eccellenze enoiche italiane.

Mi sbilanco a dire che il Cirò Superiore è un elemento di punta del nostro patrimonio vinicolo perché, soprattutto dopo la spinta propulsiva data al territorio dai protagonisti della Cirò Revolution, ma anche – permettetemolo – da un radicale ringiovanimento della compagine consortile, in quella piccola denominazione di poco più di cinquecento ettari (tre milioni di bottiglie in tutto) stanno facendo realmente grandi cose.

Una di queste “grandi” cose l’ho avuta nel calice qualche sera fa, quando ho stappato l’Aris 2014 di Sergio Arcuri, un Cirò Rosso Classico Superiore, appunto. Un vino straordinariamente complesso e straordinariamente bevibile, e dunque, insieme, incredibilmente antico e incredibilmente moderno, ed è quella modernità che sta alla buonóra (ri)emergendo, giacché si sta tornando a ragionare e a comprendere che non sono la potenza e la struttura, bensì la finezza e l’eleganza a fare grande un vino.

Ecco, l’Aris è un vino finissimo, con quelle sue caleidoscopiche memorie di spezie e di terre rugginose e di erbe mediterranee, ed è intriso di una sua fiera eleganza contadina.

Ho già detto sin troppo. Posso solo aggiungere l’invito a provarlo, per chi ancora non l’avesse fatto. Per me, c’è il rimpianto che fosse l’ultima bottiglia che avevo in cantina.

Cirò Rosso Classico Superiore Aris 2014 Sergio Arcuri
(96/100)

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