Sergio Zenato a la sua Riserva d’Amarone Classico

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Ricordo come fosse ora la prima volta che assaggiai l’Amarone Riserva 1988 di Sergio Zenato. Mi travolse con la sua finezza, e ad ogni successivo riassaggio, negli anni, mi si è confermata quell’iniziale fulminante impressione. Per me resta una delle vette assolute, in Valpolicella, una dimostrazione di come appassimento ed eleganza possano trovare equilibrio pressoché perfetto. Ne parlavamo spesso, quando incontravo Sergio (molte cose me le ha insegnate lui fra quelle che so del vino) e ne parlo di tanto in tanto coi suoi figli, Nadia e Alberto, ora che lui non c’è più, e ne ho molta nostalgia.

Non c’era il 1988 tra i millesimi della verticale dell’Amarone Riserva con cui Nadia e Alberto Zenato hanno reso omaggio alla memoria del padre, all’ultimo Vinitaly. Ma c’erano altre bottiglie prese dall’archivio di famiglia, a partire da quelle dell’annata 1980, la prima prodotta da Sergio. Mi ha commosso vedere quella sala colma di gente venuta da ogni parte. Credo che ne sarebbe stato emozionato anche Sergio.

Ho molto apprezzato, come penso abbia potuto fare chi era in sala, che, pur nel mutare delle condizioni – parlo di clima, ché il cambiamento climatico si avverte, e parlo di vitigni, ché dal 2003 l’oseleta ha sostituito la molinara nell’uvaggio, e parlo di vigne, ché prima di avere vigneto a Sant’Ambrogio di Valpolicella le uve venivano da conferenti, e parlo di mano, ché Sergio ci ha lasciati nel 2008 (e mi pare ieri) – l’impronta di casa Zenato si mantenga negli anni, e non ne dubitavo del resto. Intendo quel mettere in luce il frutto e insieme sempre e comunque il sale e la freschezza, che sono le componenti che donano equilibrio a un vino di esuberante presenza alcolica. Era questo lo stile di Sergio Zenato, e lo ritrovo tuttora, e ne sono felice, e mi si permetta di dire – nessuno me ne voglia – che è da un bianchista come lui (padre del Lugana) che poteva venire questa ricerca di tensione e di vibrazione anche nel rosso, e in un rosso come l’Amarone. Mai, poi, mai il legno a farsi avanti, e Sergio sosteneva, del resto, che il legno nuovo rovina il vino, e dunque nelle botti di più recente acquisto non ci poteva andare – soprattutto – la Riserva del suo Amarone, quello che recava e reca il suo nome in etichetta.

Ora i vini.

Amarone della Valpolicella Classico Riserva Sergio Zenato 1980. La mia bottiglia non era felice, ma ne ho potuta provare una seconda e ho trovato nel calice il sale e il fiore macerato e l’arancia sanguinella e il cuoio e insomma l’imprinting dell’Amarone che piace a me. (93/100)

Amarone della Valpolicella Classico Riserva Sergio Zenato 1990. Dieci anni dopo, e ancora quella traccia salata e quelle sferzate tuttora di freschezza e poi le speziature minutissime e la terra rossa e un che di tartufo. Anche in questo caso, parlo d’una seconda bottiglia. (88/100)

Amarone della Valpolicella Classico Riserva Sergio Zenato 2003. Fu annata torrida, e questa è una bellissima espressione di quell’estate caldissima. Il frutto appassito è opulente, ma la ciliegia resta croccante e l’acidità valpolicellese mantiene in equilibrio la spinta alcolica. (93/100)

Amarone della Valpolicella Classico Riserva Sergio Zenato 2005. Profondo più che muscolare negli anni in cui la muscolarità dominava in Valpolicella. Il frutto si esprime con lunghezza impressionante, sostenuto da una convincente sapidità. (92/100)

Amarone della Valpolicella Classico Riserva Sergio Zenato 2009. Dovessi illustrare che cosa possono dare a un Amarone la corvina (il corvinone) e l’oseleta, penso che proporrei questo vino. Della prima uva c’è la vena agrumata, della seconda il tannino fitto. Un bambino. (89/100)

Amarone della Valpolicella Classico Riserva Sergio Zenato 2011. Silvano Tempesta, enologo che da sempre lavora alla Riserva, ha affermato che si trattò di annata perfetta. Lo è anche il vino che se n’è tratto. Ancora la profondità (e la complessità) come tratto distintivo. (95/100)