Scommettiamo, 15 anni e le vigne di qualità saranno bio

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“Scommettiamo che di qui a quindici anni tutta la viticoltura ‘di qualità’ sarà in bio. È una cosa che va nel senso della storia”.

La scommessa è quella di Lydia e Claude Bourguignon, microbiologi dei suoli, mostri sacri dell’agricoltura “naturale”. L’hanno affermato in un’intervista che ha loro dedicato La Revue du Vin de France. In effetti credo anch’io che si tratti di un processo che, salvo dirompenti fattori esogeni, sia ormai pressoché un fatto scontato, inevitabile, necessario. Credo sia questo il risultato più clamoroso della spinta appunto al “naturale” che v’è stata nel mondo del vino soprattutto nell’ultimo decennio.

Ma non è solo questa la scommessa dei due. Ne fanno un’altra. L’altra è quella di far saltare quel blocco colturale che è stato imposto in tutto il mondo dal “modello bordolese”. Basato sul merlot e sul cabernet sauvignon per quanto riguarda i vitigni, dicono loro, e io aggiungo basato su un modello di viticoltura standardizzato. Così, dicono loro, i viticoltori vanno incitati a tornare ai loro vitigni autoctoni, e io aggiungo che li inciterei anche a ripensare gli impianti, tornando a quelli tradizionali, che così male non erano prima della seduzione parkeriana dei vini “grossi”.

“Molti vignaioli – annota Claude Bourguignon – non si rendono conto che il terroir è sempre più forte del vitigno”. E cita un esempio. Racconta che in Australia nei terreni di un produttore suo cliente aveva individuato un terreno che pareva fatto apposta per coltivarci il gamay. Il vignaiolo decise di piantarci del pinot nero e Claude Bourguignon replicò che quel pinot nero avrebbe avuto un gusto da gamay. In degustazione, il vino che ne è venuto fuori sembrava un Beaujolais, da tanto ricordava un gamay.

Ecco, a questa cosa che il terroir conta assolutamente di più che il vitigno ci credo fermamente anch’io, e da parecchio anche.