Rosé, anche a Ian D’Agata non va il Sud “scolorito”

rosati_240

Non c’è dubbio che la Provenza abbia creato una sorta di “gold standard” per i vini in rosa, tanto da condizionare il bevitore, che dunque s’aspetta che un rosé debba essere per forza ultra-chiaro. Lo dice Ian D’Agata su Vinous e sono d’accordo. Così come concordo anche su quel che dice subito dopo, ossia che questa convinzione che un rosé debba essere chiaro e secco finisce per limitare la capacità di apprezzare o di scoprire i molti altri stili di rosato fatti in giro per il mondo, ed è un peccato. In Italia, per esempio, ci sono aree che sono naturalmente vocate per dei rosati più carichi di colore, e sono fra l’Abruzzo e la Puglia, Ma anche lì si stanno scolorendo, e secondo me così si perde identità.

Ora, per quel che riguarda proprio l’Italia, D’Agata spiega che il mondo del rosato copre, tradizionalmente, varie sfumature di rosa e vari stili interpretativi, e dunque si va dal più leggero è “provenzale” Chiaretto prodotto sul lago di Garda, ossia il Valtènesi Chiaretto e il Bardolino Chiaretto, “fatti con diverse varietà di uve e da terroirs totalmente differenti”, fino al “più scuro tra i vini rosati italiani, il Cerasuolo d’Abruzzo, che è “praticamente di colore rosso”.

Però c’è un problema, e sta proprio nel successo della Provenza, che condizione non solo i consumatori, ma anche i produttori, che talvolta si lasciano andare a scopiazzature, così ecco che sugli scaffali capita di vedere, come li definisce Ian D’Agata, “some funny-looking wines”.

“Potete aver notato, per esempio – scrive -, che molti rosati italiani da tutto il paese sono improvvisamente diventati più leggeri di colore. Questo è ancora più evidente in Abruzzo, dove alcune cantine hanno preso a imbottigliare dei Cerasuolo chiari di colore totalmente atipici”, anche se, essendo quella del Cerasuolo una docg, le commissioni d’assaggio tendono a rifiutare la certificazione a dei vini che sono chiari in maniera abnorme, “and so they should, as light Cerasuolos have no place in Italy’s wine history”, e così dovrebbero fare, perché il Cerasuolo chiaro non ha posto nella storia vinicola italiana, afferma senza mezzi termini Ian D’Agata.

Che poi non si salva dalla critica neppure il Salento. “Molti rosati del Salento – dice D’Agata – stanno ugualmente diventando più leggeri nel colore al giorno d’oggi, e questi pure usavano essere vini di colore più vicino al rosso che non al rosa”.

Insomma – dico io -, l’identità del rosato centro-meridionale la vogliamo proprio smarrire? Siamo sicuri che sia un vero affare?


3 comments

  1. Maurizio Gily

    Sono d’accordo, è un’opinione che ho espresso anch’io molte volte. Però non è vero che il Cerasuolo è “praticamente un rosso”, il cerasuolo è per l’appunto cerasuolo, la parola descrive un colore, abbastanza preciso, che sta tra il rosso e il rosato. La tendenza a farlo un po’ più chiaro è comprensibile, in omaggio a una moda, ma bisogna avere il senso del limite, se no diventa un’altra cosa. Penso che le commissioni delle DOC dovrebbero usare un pantone… più chiaro di così non si può (o anche più scuro di così, ma questo riguarda pochissimi casi di “famolo strano”). Bisogna praticare il compromesso, andare a testa bassa contro il mercato non paga, ma seguire le tendenze dominanti in modo acritico, se un prodotto è legato a una storia e a un territorio, è altrettanto sbagliato e non paga nel lungo periodo.

  2. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Condivido. Con due piccole annotazione.
    La prima. Cerasuolo è un aggettivo, significa “di colore rosso ciliegia”. Ciliegie rosa non ne conosco.
    La seconda. Per quel che riguarda le commissioni di valutazione dell’idoneità dei vini presso le società di certificazione, la soluzione non è il pantone, ma il tono di colore, facilmente definibile e verificabile oggettivamente. Lo strumento per definire quale sia il tono, ovviamente con delle tolleranze fra il minimo e il massimo, è il piano dei controlli correlato (correlabile) a ciascuna denominazione. Basta volere.

  3. Massimo Di Cintio

    Bravo Ian, sono assolutamente d’accordo. Una tendenza che sia in Puglia, sia in Abruzzo ha snaturato l’identità del rosato prodotto in quelle due regioni. In Abruzzo c’è chi ha snaturato il Cerasuolo d’Abruzzo e chi, più coerentemente con le tendenze commerciali, ha invece scelto la strada di affiancare (o sostituire) al Cerasuolo Doc un Rosato Igt, con uve montepulciano o con altri vitigni a bacca rossa. Tuttavia c’è una imprecisione nell’articolo di Ian, purtroppo il Cerasuolo d’Abruzzo non è (o almeno, non ancora) un vino Docg ma ancora un Doc che ha anche la tipologia Superiore.

Non è possibile commentare