Il ritorno del Fojaneghe (rosso)

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Il Fojaneghe è uno di quei rossi che hanno fatto la storia. Fu uno dei primi tagli bordolesi prodotti in Italia, molto, molto tempo prima che esplodesse la moda dei Supertuscan. Un’innovazione. Fu anche uno dei primi rossi “importanti” che ebbi occasione di bere quando presi ad avvicinarmi al vino, anche se in quel momento la sua fama si stava appannando.
In origine era fatto con cabernet sauvignon, cabernet franc e merlot di una vigna dei conti Bossi Fedrigotti che stava dalle parti di Isera, in Trentino, in località Foianeghe, appunto. Un cru. Uscì già nel 1961, che a dirlo sembra un secolo fa, e comunque mezzo secolo lo è per davvero. Ci mise mano, allora, Nello Letrari, uno dei padri della trentinità vinicola, e la cantina era del conte Federico Bossi Fedrigotti, che aveva fatto piantare quelle vigne delle varietà francesi nel 1957. Fu un successo straordinario.
Poi arrivarono altri vini a basare le loro fortune sulle uve di Bordeaux impiantate in giro per l’Italia. Però adesso è tornato in grande spolvero, ché me lo sono ritrovato fra i vini premiati coi tre bicchieri dal Gambero Rosso, sulla guida del 2017. Dunque, ho voluto a tutti i costi assaggiarlo, per vedere se realmente fosse tornato agli antichi fasti. E sì, è vero, è riconoscibilissima la sua vocazione bordolese, con quel frutto così evocatore della varietalità franzosa, eppure emerge anche l’indole trentina montanara in quell’acidità così nervosa, e dunque è un vino che merita di stare nel calice. Per ora debbo ammettere che è giovinetto assai, e il legno, appena stappata la bottiglia, s’avverte, ma l’ho riprovato di lì a qualche ora e il rovere era stato assorbito, e dunque un riposo in cantina gli farà benone, vale la pena.
Ora il Fojaneghe, dicevo, l’ha premiato il Gambero. È l’annata 2012. Si sono adoperate le uve del cabernet e del merlot con un tocco di teroldego (il 15%, mi si dice). L’inserimento autoctono sull’uvaggio bordolese l’ha voluto dal 2007 il Gruppo tecnico Masi, ché la casa amaronista ha sottoscritto una partnership coi Bossi Fedrigotti, e il vino esce sotto il marchio veronese. Comunque ha ragione patron Sandro Boscaini quando dice che questo riconoscimento “riporta alla ribalta un’autentica gloria della nostra enologia degli anni ‘60”. E capisco che la scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti dica che il riconoscimento della guida “inorgoglisce me, i miei fratelli Maria José e Gian Paolo e tutti i nostri collaboratori”.
Io l’ho bevuto con piacere. Ne serberò un’altra bottiglia da ribere, se ne avrò l’occasione, fra qualche anno.
Vigneti delle Dolomiti Rosso Fojaneghe Conti Bossi Fedrigotti 2012 Masi
(90/100)

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