Ripensare i consorzi di tutela?

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L’ho scritto qualche tempo fa che un asteroide sta per colpire il mondo del vino. Quando arriverà, le conseguenze potrebbero essere due. La prima è la possibile necessità di accorpare le diverse doc di un territorio omogeneo per aumentare quella che si definisce come “massa critica”, oppure di specializzarle sempre di più. La seconda è ripensare il ruolo dei consorzi di tutela, che così come sono rischiano in parecchi casi di non andare da nessuna parte, e dunque di essere un costo non più giustificato.
Del resto, la spinta a ridefinire i consorzi del vino sembra arrivare da mondi tra di loro lontanissimi e contrastanti.
Per esempio, la Fivi, la Federazione italiana dei vignaioli indipendenti, ha scritto al ministro delle politiche agricole “chiedendo di rivedere il meccanismo di attribuzione dei voti all’interno dei consorzi di tutela, in modo da dare più spazio ai Vignaioli, evitando il dominio delle cooperative di primo e secondo grado nei consorzi più importanti”.
Ma anche dal mondo cooperativo sembra giungere una richiesta di ridisegno delle logiche dei consorzi, almeno se prestiamo fede a quanto ha dichiarato di recente in una conferenza stampa Bruno Trentini, che è il direttore generale di un colosso della cooperazione come la Cantina di Soave. “Probabilmente – ha detto Trentini – i consorzi, che hanno svolto un ruolo importante nella tutela negli anni scorsi, dovrebbero ripensarsi come fulcro per la valorizzazione delle doc, creando le situazioni ideali per le quali la filiera sia unita o perché possano essere individuati il posizionamento o i canali di distribuzione dei vini”.
Insomma, nel mondo del vino ci sono idee diversificate, e talvolta – ripeto – ci si guarda l’un l’altro anche con sospetto, ma pur da fronti diversi, e con obiettivi diversi, sembra incominciare ad emergere la domanda di riconsiderare le funzioni dei consorzi.
Intanto l’asteroide continua la sua corsa.