Riflettendo sul caso di Cortona e sul futuro del vino

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Ho trovato particolarmente interessante la conversazione che ho potuto avere via web, insieme ad altri colleghi, con Filippo Calabresi, il giovane vignaiolo (classe 1990) dei Tenimenti d’Alessandro, azienda che dalla fine degli anni Ottanta ha contribuito in maniera determinante a riscrivere la storia viticola di un pezzo di Toscana, ossia della terra aretina di Cortona, in Val di Chiana.

Per me è stata l’occasione per riflettere sul dilemma che si stanno ponendo in molti, tra coloro che fanno vino in Italia e anche altrove. Ossia, come fare a produrre vini che siano più immediatamente bevibili e fruibili, come sembrerebbe volere la graduale evoluzione dei bevitori in direzione della leggerezza, quando invece il cambiamento climatico spinge alle sovramaturazioni?

Ebbene, a Cortona, dove primeggiano le varietà del Rodano – syrah per i rossi, viognier per i bianchi – e soprattutto in quest’azienda, la potenza espressiva è stata ed è una connotazione marcata del vino. Dunque, il problema può porsi in maniera piuttosto netta, se di problema si tratta. Si badi, ho detto “se”.

Ebbene, col 2014 e ancora di più dall’anno successivo, Filippo Calabresi (la sua famiglia è integralmente subentrata nella proprietà ai d’Alessandro dal 2013), ha ritenuto di ricercare la preservazione del frutto e della freschezza attraverso l’anticipo delle vendemmie e la vinificazione in acciaio “per i vini pensati per un consumo quotidiano”, lasciando che solo le selezioni – che nei decenni scorsi hanno ricevuto ampi consensi dalla critica – affinino lentamente nei legni, i quali tuttavia debbono essere vecchi, e dunque virtualmente neutri.

La scelta è un esempio del tentativo di riposizionare un’azienda di medie dimensioni (gli ettari di vigna sono trenta, tutti in conduzione biologica, le bottiglie intorno alle centomila per anno), modificandone e aggiornandone le prospettive. Se poi la scelta sia davvero quella migliore, lo devono dire i vini.

Per parte mia, qualche dubbio ce l’ho, perché non credo che qualunque uva si possa adattare a qualunque stile, e “la” syrah (in Francia quest’uva è al femminile), non l’ho mai trovata adatta a intraprendere la strada della leggerezza. Insomma, freschezza se ne può avere, ma la potenza esce sempre, oppure esce l’immaturità, e dunque la traccia verde resta sottesa, quando non del tutto palese.

Lo so, sono tranchant, ma con questa varietà ho bisticciato a lungo, in vita mia, proprio per il suo carattere. Perfino nei rosé provenzali trovo che il vitigno ecceda nel conferire corpo, tant’è che alcol e volume stanno schizzando in alto anche là. Solo di recente ho trovato finalmente pacificazione nell’alta Valle del Rodano, in Côte-Rôtie, soprattutto, più ancora che a Cornas. Là, infatti, si fa la quadratura del cerchio, e la potenza, che c’è, e ce n’è tanta, viene domesticata, trovando un equilibrio che ha dello spettacolare. In taluni casi, lassù, a consentire il bilanciamento è una piccola porzione di uva bianca. Di viognier, nello specifico, e guarda caso anche quest’uva c’è a Cortona. Sarebbe oltretutto usabile in cuvée, visto che dal 2018 ai Tenimenti d’Alessandro si è deciso di uscire dalla doc per passare all’igt. Dunque, a mio avviso, potrebbe essere una strada perseguibile, anche se Calabresi mi ha replicato che non è possibile, stante che di viognier ce n’è poco e si destina alla produzione di un bianco, che peraltro ho trovato gustosissimo.

Di recente, per rafforzare la strada diretta a mettere sul mercato vini da bere più presto, l’azienda ha provato a percorrere anche la strada del sangiovese, che non viene dalla tenuta, ma dalla campagna di un conferente. Insomma, si sta lavorando lungo una via progettuale interamente nuova, ma a mio avviso i vini emblematici restano saldamente quelli di selezione. Perché la potenza io trovo che questo territorio possa gestirla.

Adesso, le mie impressioni sui vini.

Toscana Viognier Fontarca 2018. Sono solo tremila bottiglie e se cercate un bianco di carattere, procuratevene almeno una. Fiori, frutta bianca e compattezza, con una vena salata che rende saporito il sorso. Sul fondo, il rosmarino e il cappero imprimono un marchio mediterraneo. (89/100)

Toscana Sangiovese 2018. Toglietevi di testa l’idea del sangiovese chiantigiano. Qui trovate amarena e un che di terra rossa, di fiori e di incenso. È un rosso pacato, che ti guarda a braccia conserte. Ti aspetti che prima o poi esca lo scatto grintoso, ma non è nella sua indole. (84/100)

Toscana Syrah Rosso 2018. Avete presente quel sentore di foglie aromatiche che c’è negli amari? Ecco, lo trovate anche qui. L’alloro soprattutto. In azienda hanno cercato la beva, e quella c’è, vibrante (e c’è buon tannino), ma sul finale emerge costante una presenza vegetale, erbacea che rinserra e costringe in minoranza il frutto. (80/100)

Toscana Syrah Bosco 2016. Se conoscete un po’ Cortona, conoscete questo vino, il Bosco, che ne è paradigmatico. Si propone col suo consueto caleidoscopico panorama olfattivo, intessuto di frutto e di spezie, elegante e sornione. In bocca è graffiante, mineraleggiante e pepato, perfino piccante. La varietalità viene mediata dall’indole toscaneggiante, terrosa e contadina, che ne corregge e ingentilisce il calore. Bottiglia eccellente. (90/100)

Toscana Syrah Migliara 2016. Qualcuno l’ha trovato meno pronto del Bosco. Vero. Ma se lo devo pensare in prospettiva, credo che non ci voglia più di un anno perché prorompa nel pieno della sua potente e insieme aristocratica bellezza. I rossi migliori fatti con la syrah sono così, danno il meglio intorno al quinto anno, poi si appisolano per un po’ e tornano fuori solennemente appena divengono decenni e oltre. Fatto con le uve dell’ultimo giorno di vendemmia, sa distillarne l’essenza. (93/100)