Quell’orto della speranza

orto_mustafa_400

Da molti giorni passavo in auto davanti al quel piccolo orto in via Marina, a Napoli, e non riuscivo a staccarne gli occhi. Nel tempo sospeso della notte, prima di addormentarmi, continuavo a pensarci. Eppure è solo un piccolo orto.

Certe cose smettono di essere cose e diventano pensieri di una potenza straordinaria che ti entrano dentro con forza e lasciano il segno. Il messaggio fiorito su quell’aiuola di periferia trasformata in orto è di grande speranza e positività. Proprio quel tratto di strada, nei pressi della stazione degli autobus, è sempre stato molto degradato. Ecco perché il cambiamento da aiuola sporca e ricettacolo di immondizia a piccolo orto curato, preciso nei filari di piante di fave intervallate qua e là da fiori, rapisce l’attenzione di chiunque passi. E via Marina è una strada ad alto scorrimento.

Qui c’è sempre traffico essendo questa un’arteria di accesso in città. Tutti quelli che passano di qui si voltano a guardare l’orto di fave e fiori e si chiedono chi sia stato a dargli vita. Così un giorno mi sono decisa a cercarlo e sono andata sul posto aspettando che si facesse vivo.

Ho cominciato a fotografare l’aiuola di fave e dopo un po’, dall’alto del muro che la costeggia, si è affacciato un uomo.

– Sei tu che hai fatto l’orto?

– Sì.

– Vieni che voglio sapere come è andata.

– Piacere mi chiamo Mustafa e vengo dal Marocco. Non sopportavo quell’aiuola sporca e piena di monnezza davanti la mia casa, così l’ho ripulita bene insieme a tutto il tratto di marciapiede che la contiene ed ho piantato fave e fiori. Sotto le fave ci sono le patate e tra un po’ trapianto i pomodori.

Mustafa è in Italia da trent’anni, ha girato in lungo ed in largo lo stivale ed ha deciso di fermarsi a Napoli dove lavora come muratore. Napoli è città abituata e pronta ad accogliere da almeno duemila anni essendo sul mare, con un grande porto dove sono arrivati da ogni parte del Mediterraneo e d’Europa. Quindi Mustafa può integrarsi più facilmente e, tra l’altro, il clima mite gli viene ulteriormente incontro. Nello sguardo e nelle parole di un italiano stentato si percepisce che abbia qualcosa di diverso. Non si è piegato al degrado della periferia ed alla difficoltà di stentarsi la vita con lavori precari, faticosi e sotto pagati. Ogni giorno sogna di poter cambiare le cose lavorando il suo piccolo orto. È il suo angolo di speranza, di riscatto, che su questa strada ad alto scorrimento ha assunto un impatto comunicativo fortissimo.

Certo, di questi tempi è di moda avere un orto e prendersene cura. Fa tendenza, ci fa sentire più in contatto con la natura, illudendoci di trattarla con maggiore rispetto. Michelle Obama si è fatta fotografare e riprendere più volte mentre lavorava l’orto della Casa Bianca e il principe Carlo d’Inghilterra ha ricevuto Carlo Petrini nella sua tenuta di Highgrove House per condividere i principi sull’agricoltura sana e comunicare il fenomeno crescente degli orti in città. Ma l’orto di Mustafa non ha niente a che fare con tutto ciò. Ha rotto il silenzio, l’indifferenza, placato la nostalgia, ha sotterrato la paura con la forza della speranza. Ora sta a noi cogliere il messaggio.