Quando il vino nasce da un progetto

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Quando si viaggia in macchina in due, si finisce per parlare, parlare, parlare, e a volte dalla conversazione nascono le idee. Accadde qualcosa del genere nel settembre del 2007, quando Giacomo Mojoli, uomo che scrive di vino da parecchio, e oggi docente al Politecnico di Milano, e Casimiro Maule, l’enologo della Nino Negri valtellinese, andarono ad Aldeno, in Trentino. Maule doveva essere premiato nella manifestazione Mondo Merlot, Mojoli era chiamato a presentarne la figura professionale e umana. Fu durante il viaggio che venne fuori la pensata d’un vino “innovativo” da realizzare in Valtellina. Un vino progettuale e anche ambizioso. Nei fatti ripetendo e innovando quella “innovazione” che Maule aveva portato lassù negli anni Ottanta con lo Sfursat 5 Stelle della Nino Negri.
“Allora – racconta Giacomo Mojoli -, la sfida dell’enologia valtellinese e nazionale, fu quella di realizzare vini in grado di competere con l’ascesa qualitativa dell’enologia storica e internazionale (Francia, Australia, California, Cile, Nuova Zelanda) e, in particolare, di cimentarsi con un forte cambiamento del gusto, dello stile e del concetto di qualità nei confronti del vino. Lo Sforzato 5 Stelle, in quello specifico contesto, rappresentò per la Valtellina, per il suo territorio, per il know  how enologico e vitivinicolo del comparto, un vero e proprio ciclone culturale, un modello strategico e di stile, che influenzò positivamente il concetto di qualità, andando ad influire, particolarmente, nei confronti del profilo sensoriale e organolettico del vino”.
Il mondo, da allora, è cambiato. Ed è cambiata l’idea di vino e anche lo stile di approccio al vino. Dunque, anche in Valtellina è il momento di ripensare al vino, di ripensare “il” vino. Da qui un nuovo progetto. Che oggi porta il nome di Sciúr. Un Valtellina Superiore. Prima annata 2012.
“Se negli anni Ottanta – continua Mojoli – il modello Sforzato 5 Stelle rappresentò per la Valtellina, e, nel caso specifico, per l’enologia nazionale un esempio di vino di alta qualità, in sintonia con lo stile dei grandi vini rossi del momento (Barolo, Amarone, Supertuscan, eccetera), un vino come il Sciúr dovrà pre-figurare il modello di vino che, in particolare in Valtellina (ma, in generale), segnerà un percorso valido e realistico per i prossimi 5-10 anni nello scenario vitivinicolo”.
Avete capito cosa intendevo quando ho detto che il progetto è ambizioso?
Ebbene, se il Sciúr riuscisse ad essere questo, riuscisse cioè ad essere un nuovo paradigma vinicolo, ne sarei felice. Perché adoro questo vino. Che sa mettere insieme l’anima dell’uva – la chiavennasca, il nebbiolo di montagna – e anche l’essenzialità montanara e quindi territoriale delle sue origini e anche una beva strepitosa e anche una finezza e – lasciatemi usare questa parola – un’eleganza che ritengo esemplari. Un vino che mi ha colpito fin dal primo assaggio.
Ecco, è stato avendo nel calice il Sciúr che ho capito cosa intendesse Giacomo quando ha detto che questa bottiglia viene da “un’idea che nasce prima di tutto dalla sintonia per la visione del vino inteso come uno ‘strumento’ per interpretare un pensiero, un territorio, la natura, l’economia e la cultura, il lavoro e le scelte di vita, presenti e future, di non poche persone”.
Solo che l’idea ha dovuto farsi concreta per piccoli passi. Così, dopo l’avvio ideale di quel viaggio in macchina del 2007, il progetto è stato ripreso concretamente e messo in moto nel 2011, dopo incontri, discussioni, e riflessioni riguardanti quella che Mojoli chiama “la metamorfosi in corso del sistema vino”.
Alla fine ecco dunque “l’idea singolare, per un’azienda storica come la Nino Negri, e, soprattutto per una holding dell’enologia come il Giv, di realizzare – sono ancora parole di Mojoli – un vino significativo e significante, ma non di nicchia, tanto meno da concorso o, ancor più riduttivo, semplicemente attrattivo nei confronti della critica enologica e dell’insieme delle guide di settore”.
Il problema semmai erano quelle che Giacomo chiama “l’angolazione” e “la messa a fuoco”. Per questo nella progettazione, accanto allo staff enologico e agronomico della Nino Negri e del Gruppo Italiano Vini, sono entrati “in campo” gli studenti del Politecnico.
Ne sono stati coinvolti una ventina. In due fasi. La prima, con dei neo laureati del PoliDesign, con l’obiettivo d’individuare una serie di nomi e di significanti per il nuovo vino. La seconda, con un workshop in collaborazione con il Politecnico di Milano, con un team di studenti brasiliani esplicitamente indirizzati a ragionare sulla definizione di linee guida di un “vino globalmente sostenibile”. Dice Mojoli che il risultato della singolare iniziativa è stato “una curiosità trasversale senza limiti da parte d’interlocutori-collaboratori aperti a riferimenti culturali ampi, con visioni complesse, collegamenti multidisciplinari con esperienze mutuate in giro per il mondo, con legami attivi con la produzione e la ricerca”.
“Come dei provetti esploratori – racconta Giacomo -, con occhi diversi e con la mente sgombra dagli schemi ormai obsoleti del mondo chiuso degli ‘enofili’, i nostri giovani studenti si sono lanciati alla ricerca di ‘casi studio’, di modelli, di materiali, d’idee e di nuovi scenari. Con metodologia innovativa, con mezzi e strumenti il più possibile eterogenei hanno sviluppato una mole incredibile di suggestioni e di stimoli funzionali all’idea di ‘un vino che verrà’, dentro mercati che, forse, non esistono ancora.
È nato così anche il nome stesso del vino, Sciúr.
Ora, per chi mastichi un po’ di dialetto lumbàrd, è noto che Sciúr significa Signore. Era così che chiamavano anche il Sciúr Carluccio, ossia Carlo Negri, figlio di Nino Negri, il fondatore della cantina che porta ancora il suo nome, nata nel 1897. Ma Giacomo Mojoli assicura che “per il nostro progetto però, è del tutto casuale il richiamo dialettale”. Piuttosto, seppur con una “simpatico accenno” alla lingua del territorio, Sciúr è un acronimo che deriva dal lavoro di ricerca svolto dagli studenti del Politecnico per intercettare “alcune parole chiave identificative del progetto e del vino da realizzare”. Sono stati cinque i termini individuati, “fortemente carichi – dice Mojoli – di significato e di valore strategico, espliciti per il loro senso, suggestivi e nonché virtuosi, per quello che implicano dal punto di vista pratico e culturale. Dunque, la s di Sciúr sta per sostenibile, la c per concreto, la i per innovativo, la u per unico, la r per responsabile”. L’idea di vino.
Ora, se davvero questo è destinato ad essere un vino “del futuro” per la Nino Negri e per la Valtellina, io ci vedo un bel futuro.
Mi piace molto, il Sciúr, e non solo dal lato del piacere sensoriale.