Qualcosa di nuovo nascerà, qualcosa finirà per sempre

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Qualche giorno fa, sul suo profilo social, un collega invitava a completare la frase “quando tutto questo sarà finito…” Di primo acchito, volevo replicare anch’io con un desiderio, come altri hanno fatto, perché, come a tutti, sono molte le persone e le abitudini e i paesaggi e le cose che mi mancano. Ma mi sono trattenuto. Perché credo che “tutto questo” non sarà mai veramente finito, e non mi riferisco alla malattia in sé, che verrà debellata, anche se non so a quale prezzo. Penso piuttosto al mondo e al modo in cui eravamo abituati a vivere prima dell’esplosione della crisi sanitaria, che si è subito evoluta in crisi sociale e che sarà probabilmente presto anche crisi economica. Quel mondo e quel modo non potranno più tornare quelli di prima.

Non so quanti e quali e di quale portata saranno i cambiamenti che vorremo apportare o che dovremo patire e fronteggiare, ma troppo invasivo è il “tutto questo” perché non conduca a delle trasformazioni nei nostri modi di agire, di relazionarci, di lavorare.

Mi pare chiaro che prima se ne esce e minori saranno le ripercussioni, ma nutro seri dubbi sulla velocità di uscita dal tunnel, anche quando incominciassimo a vedere un po’ di luce là in fondo. Temo infatti che il tempo del “distanziamento sociale” più o meno obbligato continuerà, per imposizione o per scelta. Questo farà mutare molte cose nella nostra maniera di vivere, da cittadini e da operatori e da produttori.

Prendiamo il caso del commercio elettronico. In moltissimi in questi giorni vi hanno fatto ricorso, e intendo sia lato consumatori, sia lato produttori e fornitori. Se prima l’ecommerce faceva una gran fatica a decollare qui da noi, ora ritengo che sia entrato nelle abitudini di molti, e quando una cosa la trovi comoda non ci rinunci più del tutto. Soprattutto perché, se dovremo mantenere ancora misure di “distanza” interpersonale, l’on line rappresenta una soluzione brillante, in quanto non costringe ad incontrare gente per ogni necessità.

Parimenti, ci potrebbe diventare usuale adottare nuove abitudini ad esempio nella maniera di frequentare un bar o un ristorante e dunque specularmente dovrà rinnovarsi la forma nella quale dovranno accoglierci gli osti e i ristoratori. La distanza fisica da mantenere tra i tavoli e i commensali potrebbe doversi confermare ampia per un periodo ancora abbastanza lungo di tempo. Chi ha piccoli locali potrebbe essere in grave difficoltà, chi ne ha di dimensioni maggiori potrebbe essere agevolato nella ripresa, ma rinunciando a molti coperti e riducendo il personale e gli acquisti a fronte di un calo strutturale degli incassi, eventualmente rimpiazzabili tuttavia con il rafforzamento dell’attività di consegna a domicilio, col food delivery, il che significa avere linee di cucina diversificate e una logistica efficiente.

Dovranno evolvere le forme stesse della promozione e della comunicazione del vino. Le rassegne coi banchetti dei produttori uno accanto all’altro e con gli appassionati che si assiepano potrebbero diventare irrealizzabili anche per mesi dopo l’uscita dall’emergenza. La formazione, i corsi di degustazione, le attività seminariali, le cosiddette masterclass per la stampa sono tutte attività che per un certo lasso di tempo potrebbero essere forzate a guardare alla didattica in remoto, ma se la soluzione contingente si dimostrasse comoda e pratica, perché non potrebbe diventare strutturale?

Le fiere potrebbero essere costrette a produrre un forte scatto in termini di innovazione, spingendo verso una dematerializzazione dei contatti, che si potrà anche pensare come provvisoria, ma che potrebbe invece anch’essa almeno in parte consolidarsi.

Sono solo alcune riflessioni maturate davanti al post di un collega che chiedeva di completare la frase “quando tutto questo sarà finito…” Ripeto, molto è legato al “quando”. Ma non credo, comunque, che sarà possibile riavvolgere del tutto il film e ritornare al primo tempo. Qualcosa, anzi, sarà finito per sempe. Qualcosa di nuovo sarà di là dell’ostacolo.

Questo è già il tempo di scegliere se si vuole essere tra coloro che il “qualcosa di nuovo” lo creano e lo gestiscono, anziché essere tra quelli che sono costretti a subirlo.