Il Prosecco è come la musica di sottofondo

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Emanuela Canepa ha vinto il Premio Calvino 2017 con il suo libro d’esordio, “L’animale femmina”. L’ho letto quest’estate, ma non è sul libro in sé che voglio soffermarmi. Piuttosto su un suo brevissimo passaggio che credo meriti una sottolineatura, perché aiuta a capire il successo enorme del Prosecco.

Eccolo: “L’uomo al bancone si fa servire un bicchiere di prosecco. Scambia qualche parola con i due seduti al bar. È chiaro che si conoscono. Il tono di voce si alza, gli altri hanno già bevuto parecchio. Ridono, si dànno grandi pacche sulle spalle”. Le righe sono queste.

Mi si potrebbe chiedere che cosa ci abbia trovato di tanto rilevante nel leggere di una scena di questo tipo, che tutti abbiamo visto e rivisto chissà quante volte in chissà quanti bar. Ebbene, ci ho trovato proprio questo: la “normale” familiarità col calice di Prosecco, su cui non avevo mai riflettutto abbastanza e che ritengo sia invece la vera spiegazione del suo travolgente successo. Ho dovuto trovarla fra le pieghe di un libro di narrativa perché mi ci focalizzassi.

Già, oggi il Prosecco, in un bar, è come la musica di sottofondo. La musica c’è, non può mancare, rassicura, è parte costitutiva del locale, nessuno sembra badarci e in effetti nessuno coscientemente ci bada, ma non sarebbe lo stesso bar senza la musica e non se ne trarrebbe la stessa piacevole leggerezza, quella che fa scambiare quattro battute e una pacca sulla spalla. Ecco, il Prosecco è così, quasi un vino da sottofondo. Se non ci fosse, la sosta al bar non sarebbe la stessa cosa.

Vi sembra poco? A me no, a me non sembra poco, assolutamente.