Plant Robert, non Robert Plant

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Dicono che sia un parente stretto del gamay. Sarà anche così, ma ne è uscito uno dei vini più strani del 2016. Siamo in Svizzera, nelle vicinanze di Lausanne, in uno dei più bei panorami vinicoli che ho potuto vedere. Non per niente i vigneti terrazzati di Lavaux sono stati inseriti nell’elenco dei siti Patrimonio mondiale dell’Unesco. La cosa curiosa di questo vino è che non sono riuscito a trovare il nome esatto del produttore. Prometto che appena torno mi darò da fare per togliermi il dubbio. Comunque voglio parlarne, spero mi perdonerete.
Dunque, torniamo al soggetto di questa recensione: il vino Plant Robert. Credevo fosse la grande voce dei Led Zeppelin, ed invece è una varietà che cresce in un territorio vocato ai vini bianchi. Gli Chasselas di Lavaux sono la migliore espressione di questo vitigno che si possa trovare.
Cosa ci faccia un rosso così in mezzo a tante uve bianche non lo so. Quello che ho capito è invece che si tratta di un vino molto interessante, tanto che ho deciso di prendere qualche altra bottiglia per capire com’è veramente. Se mi passate l’ossimoro, quello che ho bevuto io aveva una grande balsamicità moderata. Nel senso che era netta ma educata. Al naso una cascata di erbe, tanto che pare di entrare in erboristeria. Poi spezie e complessità decisa, ma sempre da svizzero. Palato dominato da queste note erbacee, rabarbaro su tutto, e poi un frutto esile ma lungo. I tannini sono appena accennati. Se capisco i legami con il gamay, non posso togliermi dalla testa una certa parentela con il nostro Barolo Chinato.
L’avevo detto all’inizio che era strano. Ah, dimenticavo. Tappo a vite.
Lavaux Villette Plant Robert 2011
(89/100)