Per i francesi il rosé è un grande vino, e noi?

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“I vini rosati, che destino. Una quindicina di anni fa, il tema sarebbe stato smaltito in dieci righe, tra i sospiri dello sfortunato redattore cui era affidato l’incarico di occuparsene. Oggi invece il rosé ci insegna qualcosa di essenziale sul vino”. A scriverlo è il direttore della Revue du Vin de France, Denis Saverot, che commenta così il boom dei rosé.
La Francia è in prima fila nella crescita del movimento mondiale rosatista: ormai, una bottiglia su tre di quelle stappate dai francesi ha il colore rosa, mica scherzi. Ovvio dunque che sia proprio la critica francese quella che più di tutte si interroga sul valore dei rosé.
“Che cos’è un buon rosé?” si chiede Saverot. Rispondendo così: “È un vino che sa di uva. Come per tutte le cose importanti, la semplicità rimane l’asse portante. Un buon rosé è prima di tutto uva con tocchi di spezie, di frutti rossi, di piccoli frutti di bosco”.
Non solo. Ormai chi beve vini rosati in maniera intelligente incomincia a destreggiarsi fra le loro diverse tipologie, come per i rossi o per i bianchi. “All’appassionato più esigente – scrive Saverot -, il rosé offre tutta una serie di possibili sfumature negli abbinamenti”. Coi rosati più scarichi che vanno bene a partire dall’aperitivo e con quelli che invece hanno fatto più macerazione e chiedono piatti di una certa struttura.
“Il rosé? Se ne può discutere all’infinito – dice Saverot -, e questo vuol dire che gli riconosciamo di essere un grande vino”.
Già. Magari ce ne rendessimo conto un po’ di più anche in Italia.

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1 comment

  1. Maurizio Onorato

    Sono anni che predico a favore dei grandi rosati. La questione è tutta qui: non esistono quasi vie di mezzo. I vini “pensati in rosa” sono emozionali ed affascinanti come pochi, altrimenti c’è la tristezza di rosati “a completamento di gamma”. Chi l’ha detto però che i cataloghi devono essere per forza ipertrofici?

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