Parliamo del vino in termini umani

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Il vino bisognerebbe descriverlo con termini umani, mica tutti quei noiosi descrittori aromatici. Lo dice Kermit Lynch, e se non sapete chi è Kermit Lynch vi dico che è uno che fa un sacco di cose e che ha successo in tutte le cose che fa, e dunque è uno che importa vini italiani e francesi negli Stati Uniti, è l’autore di uno dei più premiati libri sul vino che ci siano in circolazione (il titolo è “Adventures on the Wine Route”) ed è anche un musicista tra il rock e il country che ogni tanto sforna un disco ed è considerato una specie di guru dalle parti di Berkeley, in California.

“Vedi, tutte quelle cose sui fruttini e sulle ciliegie, non sono mica una maniera pratica per parlare di vino – ha detto in un’intervista che gli ha fatto Stephanie Sy-Quia di Food & Wine, ed è una bella intervista -, perché anche se hai assaggiato un sacco di vini, se vai avanti e assaggi la nuova annata quando ha tre mesi, può sapere di ciliegia. Ci torni su un mese dopo e può sapere di mora. Ci torni più tardi e pensi ‘Mio dio! Da dove viene quell’aroma di caffè?’ Così quando la tua recensione esce sulla rivista per la quale scrivi, il vino non saprà più di quel che sapeva quando l’hai annusato. Questa cosa mi ha sempre infastidito, questa nuova maniera di scrivere di vino come se si trattasse di un succo di frutta. Quando il vino era descritto in termini umani, come fosse un uomo o una donna, allora ti capitava di essere coinvolto in qualche conversazione interessante”.

Oh, sì, bisogna rifletterci su questa cosa. A me per esempio capita spesso di parlare e di scrivere di “carattere” del vino. Forse è meglio se ci insisto, su questo tasto.

Ah, giusto per dare un’idea dei lavori di Kermit Lynch, la fotina che accompagna questo testo è la copertina del suo ultimo album.