Non è che ora all’Asti succede come al Recioto, vero?

asti_etichetta_300

C’era in terra veronese un vino grandissimo e unico, il Recioto della Valpolicella. Ancora negli anni Ottanta, il Recioto della Valpolicella era il vino più costoso tra quelli che si producevano nella provincia di Verona. Il disciplinare ne prevedeva fin dalle origini una versione meno importante e meno quotata, il Recioto della Valpolicella Amarone, che era un Recioto che non presentava la storica, avvolgente dolcezza dell’originale. Poi il figliolo meno nobile incontrò una fata che lo fece diventare il re dei re dei vini di Verona e l’Amarone divenne costoso e ricercatissimo, ebbe una denominazione a sé abbandonando il nome del Recioto e fece cadere nell’oblio il genitore. Oggi di Recioto se ne producono poche bottiglie, pur rimanendo, nelle sue più felici espressioni, tra i più grandi vini che si facciano nell’universo mondo.

Del resto, accade sempre così, nella storia dell’evoluzione, ossia che il figlio, per fare un balzo in avanti, deve uccidere il padre. Chi non l’avesse mai letto, prenda un copia de “Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” di Roy Lewis e apprenderà la lezione divertendosi assai.

Ciò detto, mi domando che cosa accadrà ora di un vino italiano che era grandissimo e unico, tanto da ricevere un trattamento a sé stante nel quadro normativo delle denominazioni di origine italiane. Il vino è l’Asti, spumante dolce a bassa gradazone alcolica, da uve moscato. Per me, potenzialmente, è tra i più fascinosi vini del mondo, e non scherzo. Ma ora che gli astigiani han partorito il figlio secco dell’Asti, quale sarà la sorte del padre? Verrà ucciso dal figlio?

La risposta, onestamente, non ce l’ho, ché non sono profeta, ma vedo difficilissima la coesistenza dell’Asti dolce e dell’Asti secco. Non vorrei che finissero addirittura per cannibalizzarsi l’un l’altro. Se gli astigiani ci riescono a farli convivere, avranno realizzato qualcosa che sa di miracoloso. Glielo auguro.