Il mistero di Clos Joliette

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Pochi vini al mondo sono circondati dal mistero come quello di Clos Joliette. Parliamo di un vino prodotto a Jurançon, quindi nei Pirenei francesi, ai confini della Spagna. Impossibile non riconoscere le etichette, che in un certo modo rimandano a quelle delle grappe di Romano Levi. Un disegno demodé, ma paradossalmente attuale e comunque attraente. La storia di questo non-vino potrebbe occupare un libricino, quindi mi limito a dare qualche informazione. In rete gli appassionati incalliti potranno soddisfare le loro più recondite curiosità.

Siamo nelle colline ai piedi dei Pirenei, non molto lontani dall’oceano, quindi con una conformazione del suolo e un clima del tutto particolare. Sembra che Clos Joliette sia il primo produttore ufficiale di Jurançon e a lui si attribuisce l’introduzione del petit manseng, varietà di qualità molto più elevata di quella del cugino gros manseng. Fin dal 1929 la famiglia Migne si è occupata della produzione del Clos, costruendosi una crescente reputazione tra pochi selezionati fortunati o addetti ai lavori. Un piccolo stock di bottiglie delle principali annate è stato conservato per soddisfare le richieste dei collezionisti, raggiungendo quotazioni ragguardevoli.

Alla morte di Maurice Migne, l’attività comincia ad essere gestita in autonomia dalla moglie Jeanne, e questo fino al 1989, anno della sua scomparsa. All’inizio degli anni ’90 la cantina e le vigne sono messe all’asta dal figlio, che prima però vende gran parte delle bottiglie rimaste, cosa che fa aumentare ancora di più l’interesse vista la ormai difficile reperibilità del prodotto, disponibile molto raramente presso qualche casa d’aste. A sorpresa non è uno dei produttori della regione ad aggiudicarsi l’asta, bensì un enotecario di Parigi, Michel Renaud. Pare che Renaud non dedicasse molta cura al vino, che per alcuni anni restava in botte scolme e a rischio di ossidazione. Una piccola parte veniva prelevata e venduta ad amici, il resto restava imbottigliato in cantina.

Nel 2015 Renaud muore e la famiglia cerca di cedere la proprietà, che però, per vari motivi, non riceve l’attenzione che si pensava. Inizia un periodo travagliato per Clos Joliette. Nel 2017 entra in scena Lionel Osmin, che casualmente viene a sapere che la proprietà è in vendita. Poco prima di morire la vedova di Renaud accetta l’offerta di Osmin, ma anziché vendere propone un contratto di affitto di cinque anni. L’accordo viene siglato. Osmin si occuperà delle vigne, della cantina e della gestione di un piccolo stock di bottiglie.

Ogni anno viene prodotto un solo vino, il cui residuo zuccherino può variare sensibilmente a seconda dell’andamento climatico dell’annata. I volumi sono ridottissimi, quattro barriques quando va bene. In alcuni casi non si arriva al contenuto minimo di zucchero previsto dall’aoc Jurançon, e per questo il vino esce come Vin de France (VdF). In altri casi lo zucchero residuo è troppo alto per classificarlo come Jurançon Sec. Per questo motivo si utilizzano delle capsule in ceralacca di colori diversi: verde per i vini più secchi, giallo con zuccheri tra 10 e 30 grammi, arancione per zuccheri fino ad un massimo di 60 grammi.

Ad aggiungere ulteriore confusione, va detto che ogni botte è diversa, a volte anche molto diversa dalle altre della stessa annata, per cui ci possono essere lotti dello stesso anno con caratteristiche totalmente opposte. Se vi impegnate potete trovare una cassa di vino, che comprende 6 bottiglie diverse, ciascuna da un lotto distinto. Il costo si aggira intorno ai 1200 euro.

La degustazione, veramente eccezionale vista la rarità dei vini, è stata offerta ai visitatori della manifestazione Haut Les Vins lo scorso febbraio a Parigi. Ho avuto la fortuna di esserci. Ve la racconto.

Vin de France J de Joliette. È un assemblaggio di varie annate, nel caso 2010, 2012 e 2013. Davvero strano, inatteso. Tra spezie e agrumi, molto secco, ha lunghezza ma non sembra ancora pronto. (87/100)

Vin de France J de Joliette 2016. Le uve sono tra le ultime raccolte a novembre. Prodotti 600 litri. Ha un naso dolce e delicato, si affacciano le spezie e l’albicocca. Profondo e lungo, sarebbe da risentire tra dieci o quindici anni come minimo. (91/100)

Vin de France Clos Joliette 2013. Iniziamo con i vini con residuo zuccherino, qui sono appena 11 grammi-litro. Siamo di fronte a un vino barocco, stratificato, molto aperto. Ancora molta lunghezza e finale di tè. (88/100)

Jurançon Joliette 2010.  Questo vino ha passato sette anni in barriques senza alcun intervento. È speziato, grasso, ricco e profondo, con la vena amarognola dei grandi vini a base di petit manseng. Va ricordato come da queste parti si eviti la botrite e si cerchi piuttosto la sovramaturazione in pianta. (90/100)

Jurançon Joliette 2012. Un vino a due velocità. Il naso sembra piuttosto stanchino, tra la caramella e le spezie. Situazione che si ribalta al palato, pervaso da una sensazione di profondità inaudita. Sono cose che capitano ai grandi vini, forse una fase difficile in attesa di raggiungere la perfetta armonia, forse tra 30 anni. (92/100)

Jurançon Joliette 2016. Vendemmiato a dicembre, è il vino che finalmente mi chiarisce l’assoluta grandezza di questa cantina e il perché del suo status di mito. Trasuda energia, è una esplosione di frutta esotica matura. La classe dei vini che parlano da soli, senza tante parole, tutto è nel calice. Spero abbiate la fortuna di provarlo, da parte mia non so quando mi succederà nuovamente ma per il momento mi accontento. (97/100)