Mercato Fivi, un successo che è un punto di non ritorno

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La nona edizione del Mercato dei Vini piacentino della Fivi è stata un successo. Probabilmente è stata anche un punto di non ritorno.

Il successo era annunciato, visto che all’apertura delle prenotazioni, in luglio, le postazioni disponibili, salite oltre quota seicento, sono state “bruciate” in un lampo, e non era scontato che accadesse. Di fatto, ormai la distanza dimensionale tra il salone dei vignaioli italiani e quello parigino dei vigneron francesi è stata pressoché colmata, e nove anni fa era impensabile. Aggiungere una terza giornata espositiva, il lunedì, era un scommessa, ed è stata vinta, forse oltre ogni previsione. Raccogliere 22.500 visitatori in tre giorni è stata un’impresa di ampia consistenza. Vuol dire che, mediamente, sono entrate 36 persone per ogni espositore. A Vinitaly la media è di 27.

Il punto di non ritorno è conseguenza del successo. Un solo padiglione non basta più. I corridoi sono troppo stretti per accogliere tutta quella gente e anche tutti quei carrelli della spesa, che sono utilissimi per chi acquista (e ad acquistare sono proprio in tanti), ma creano intasamenti insostenibili (anche dal lato della sicurezza). Non basta più neppure una logistica “artigianale” che offre ai vignaioli il solo retro-banchetto, non permettendo di avere abbastanza bottiglie per far fronte alla domanda dei visitatori. Perché al Mercato di Piacenza ci si va anche per comprare quei vini che spesso sono introvabili nelle enoteche.

Temo che non sarà semplicissimo conciliare lo spirito originario del Mercato, quello della “festa identitaria” dei vignaioli italiani, con il rischio della deriva mercantile. Che tuttavia trova tre correttivi. Il primo risiede nella distribuzione casuale dei banchetti assegnati ai produttori: quello che alcuni vedono come un limite è invece un vero punto di forza, perché concretizza simbolicamente quell’idea di “uno vale uno” che la Fivi vorrebbe portare anche negli ambiti istituzionali del settore. Va nella stessa direzione la “uguaglianza espositiva”: i banchetti dei vignaioli sono identici, a prescindere dalle loro dimensioni aziendali e dalla forza economica del singolo, ed anche questo è un elemento dalla forte carica simbolica. Il terzo è dato dai momenti di condivisione tra vignaioli: se il Mercato si sdoppiasse su due padiglioni, sarà questo l’elemento su cui si giocherà la partita della tutela dell’identità.

Resta un’ultima considerazione. Con i numeri che ha raggiunto, la Fivi ha potenzialmente consolidato la propria forza contrattuale all’interno del mondo del vino italiano, perché è risaputo che la rappresentatività non si basa solo sulle idee. L’ha fatto tuttavia percorrendo sin qui una via “anomala” rispetto a quella storicamente seguita dagli organismi che rappresentano le diverse sfaccettature della filiera vitivinicola. Anche se di fatto agisce come un sindacato o comunque come un organo di rappresentanza professionale, la Fivi non ha assunto lo status sindacale e non si sostiene finanziariamente erogando servizi agli associati. A mio avviso, è proprio la conservazione di questa propria “anomalia” la prima delle nuove sfide che la Federazione dei vignaioli indipendenti italiani dovrà saper gestire, dopo l’affermazione di questa nona edizione del Mercato. Fin qui ce l’ha fatta. Può farcela anche in futuro.


1 comment

  1. Patrizia

    La Fivi è una realtà bellissima che racchiude l’essenza del vignaiolo indipendente.
    Trovo tuttavia discutibile, da operatore professionale, che nel Mercato o in cantina, si continui ancora con la politica di prezzo al privato acquirente in diretta concorrenza con il lavoro dei rivenditori ufficiali, che si vedono superati a destra proprio dal produttore in una concorrenza sleale non gradevole.
    Basterebbe capire che la collaborazione e la coerenza sul valore del prodotto sono fondamentali: se il vignaiolo si avvale di collaboratori non può spiazzarli applicando lui stesso al pubblico prezzi che non sono praticabili dal rivenditore. Se intende farlo, venda tutto il suo prodotto da solo ed eviti di mettere in difficoltà che acquista e rivende e, oltre ai costi di gestione, ha una cosa che si chiama parametro fiscale da rispettare.
    Ci vogliono onestà e trasparenza in tutta la filiera commerciale, o il successo diventa presto un caos.

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