Marinella e la biodinamica rilassata

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“Io faccio una biodinamica rilassata” dice Marinella Camerani, mentre guarda verso il fondovalle dalle finestre del Podere Castagné, nella parte alta della Val di Marano, il buen retiro che definisce “il mio sogno” e che fa di certo sognare chi ci va a trascorrere qualche giorno di vacanza nella frescura d’alta collina, i capelli scompigliata dal vento che qui spira sempre.

“Voglio fare del vino rilassato, voglio che tutto quel che faccio sia umano e rilassato” insiste lei, e anche il cambio generazionale lo sta affrontando in maniera paziente, lasciando gradualmente più spazio alla figlia Federica. Che poi ci sta anche la lacrimuccia quando le due s’abbracciano di fronte a noi che siamo lì a goderci il posto e l’occasione e il vino.

Ecco, il vino. Marinella e Federica ce ne hanno fatti provare tanti, e uso il plurale perché eravamo un gruppo di gente che scrive di vino e che vende vino. Praticamente ci hanno messo nel calice tutti quelli che producono, come Corte Sant’Alda e come Adalia, l’altro progetto, il primo orientato alla complessità, il secondo alla semplicità. Ad elencarli, quei vini, mi dilungherei troppo. Preferisco parlare del Mithas. Il doppio Mithas. Il Valpolicella e l’Amarone.

Ne parlo perché il Mithas, il Valpolicella, fu uno di quei vini che mi aprirono la mente. Una rivelazione, un’epifania. Ricordo perfettamente dove lo bevvi per la prima volta, ed è passato un sacco di tempo, io stavo appena incominciando a scribacchiare di cucina e assai meno, allora, di vino (quasi nulla, ancora). Trattoria Cristane, a Rivoli Veronese. In cucina c’era Flavio Tagliaferro, che faceva meraviglie e poi è andato a lavorare negli Stati Uniti. Mi venne servito il Valpolicella Superiore Mithas di Corte Sant’Alda. Non rammento l’annata, ma ho impressa nella mente e perfino nel palato (se ci ripenso è come averlo appena sorbito) quell’eleganza per me nuova. Una capriola, un doppio salto mortale con avvitamento. La morbidezza della barrique – si faceva in barrique, allora, il Mithas, poi si è passati a botti maggiori – unito alla ciliegia succosa della corvina veronese e alla freschezza speziata valpolicellese. Un miracolo d’equilibrio, per quei tempi e per Verona e per la Valpolicella, che era ancora scorbutica nei suoi rossi. Compresi che ci potevano essere nuove vie. Incominciai a cercarle. Forse la mia avventura nel vino incominciò davvero proprio quella sera. Non l’ho mai raccontato, chissà che ne pensa Marinella.

I due Mithas, ora.

Valpolicella Superiore Mithas 2015 Corte Sant’Alda
Ho letto e riletto i descrittori che mi sono segnato mentre assaggiavo il vino. Sembra la scheda di un vino bianco. Fiori, tanti. Pesca gialla, anche sciroppata. Albicocca. Tracce officinali. Non vi sembra davvero la descrizione di un bianco, a leggerla così? Ma la ciliegia croccantissima è da Valpolicella, totalmente da Valpolicella, e così il sale e il tannino, ed è una tannicità solida ma scevra da ridondanze, questa, una tannicità di quelle “serie”, che solo i grandi rossi sanno sfoggiare. Il 2015 è stato un bell’anno in Valpolicella, e questo vino lo conferma in pieno.
(93/100)

Amarone della Valpolicella Mithas 2012 Corte Sant’Alda
Di nuovo la pesca e l’albicocca e stavolta col di più di un’avvincente succosità di nespola del Giappone. Di nuovo i fiori, freschi ed essiccati insieme, una finestra su un giardino fiorito. Di nuovo la venatura balsamica, e poi, sotto, una tramatura fittissima (finissima) di erbe alpestri. Poi, il frutto rosso macerato. Ancora il sale, la sapidità iodata dell’aria di mare. Un che di mandorla dolce. La cremosità (mai la dolcezza) della nobilità amaronista. Si distende con lentezza, pare una gatta al risveglio. Rilassato. Come la biodinamica che vuol fare Marinella.
(96/100)


1 comment

  1. Nic Marsél

    Oltre ai vini “top di gamma” a me piace anche l’Agathe rosa dalla tanto bistrattata molinara.

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