Macché moda, il rosé è roba seria

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Sì, certo, subito pareva un’infatuazione passeggera, adolescenziale. Invece è proprio amore. Lo dice Matt Kramer, una delle migliori firme di Wine Spectator, e lo dice a proposito del rosé. Interrogandosi sul perché il vino rosato sia diventato qualcosa di importante, che “è qui per starci”. “Why Rosé Is Here to Stay”, titola il suo editoriale di giugno.
Dunque, perché? Cos’è cambiato, per far diventare il vino in rosa una cosa terribilmente seria?
“Be’, tutto, ecco cos’è cambiato, a partire dalla maniera di fare il vino”, si risponde Kramer. Perché oggi abbiamo presse precisissime e vasche a temperatura controllata, e questo è in grado “di garantire una freschezza vitale e di preservare una delicatezza fruttata”. Insomma, “creare un rosé una volta era un’attività artigianale; oggi, è qualcosa di molto vicino a una scienza”. Così scrive Matt Kramer, e io, rosatista convinto, non posso che essere d’accordo.
La faccenda è – lo ricorda ancora Kramer, e potrei dire le stesse cose – che una volta si faceva dei vini rosati soprattutto per tirar fuori qualche altro po’ di soldi dalla torchiatura delle vinacce, oppure si producevano per salasso, in modo che il rosso venisse meglio. Insomma, il rosato era un prodotto di risulta. “I migliori rosé dei nostri giorni, invece, possono essere chiamati dei vini intenzionali”, scrive Kramer. Perché sono frutto di pensiero, di volontà, di intenzione, di aspirazione perfino.
Evviva.

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