Ma quanto se magna a Roma?

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Amatriciana, cacio e pepe, carbonara, gricia: è il quartetto degli straordinari, succulenti, ghiottissimi, irrinunciabili primi piatti di Roma, e li adoro tutti e quattro. Non è così difficile trovarne buone esecuzioni nelle trattorie della capitale, e man mano che le frequenti selezioni l’amatriciana qui, la carbonara là, e ci vai apposta, ché quello lì, proprio quello lì, è il piatto per cui vale la pena d’entrarci in quella trattoria. Eppoi nessuno tra gli osti di Roma – quelli veri – ti guarda storto se decidi di mangiare solo un primo, e magari dopo appena una cicoria, rigorosamente ripassata in padella. Tant’è che le porzioni son generose, e credo sia proprio perché l’idea di fondo è che con un piatto di pasta ci si deve saziare, vivaddìo. Ogni volta, di fronte a quelle dosi doppie, triple rispetto a quel che mangio di solito, mi domando: “Ma quanto se magna a Roma?” Un piatto equivale a una montagna di spaghetti, di rigatoni, di tonnarelli, di penne, di bucatini. Stare a dieta è un’impresa. Impossibile. Evviva le trattorie romane.