Ma è Beaujolais! (A proposito di Karim Vionnet)

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Sì, d’accordo, appena lo avvicini al naso ti dici che è uno di quei rossi che si usano chiamare “naturali” perché – è innegabile – c’è quel filino di volatile, ma poi – zac! – eccola lì la ciliegia bella, carnosa, croccante, succosa, e sotto c’è quella vena di mineralità, che è inconfondibile insieme a quella ciliegia, e dici ma è Beaujolais! e infatti è proprio un Beaujolais Villages e ne bevi un altro sorso e pensi che è proprio gustoso anche se c’è quel filino di volatile, e però al sorso dopo ammetti che in fondo la volatile non è che sia neanche così invadente e al quarto sorso neanche l’avverti più, la volatile, e invece ti appaghi con la ciliegia e con la traccia minerale, che graffia il palato e rende sempre più seria la bevuta, e anche con quella bella freschezza che si fa largo a spallate e rende ancora più intrigante il vino e vuoti il bicchiere e subito te e versi un altro e lo bevi che è un piacere, e insomma finisce che la bottiglia è bell’e seccata.

Ecco, questo qui, grosso modo, è il Beaujolais Villages di Karim Vionnet, ex panettiere diventato vigneron, che ha la cantina – una specie di capannone – al margine del paesino di Villie-Morgon e che è diventato abbastanza in fretta, e meritatamente, uno dei nuovi astri del mondo “naturale” del Beaujolais. Sono stato a trovarlo, Karim, qualche mese fa, dopo che mi aveva affascinato il suo Fleurie bevuto in una trattoria sulla piazzetta di Fleurie e l’ho trovato un tipo fantasioso, ironico e disincantato e anche un po’ guascone, e i suoi vini sembrano rifletterne il carattere. Soprattutto, fa vini molto buoni, e grazie al cielo ne ho acquistate un po’ di bottiglie, che adesso mi sto godendo in santa pace, e mi sto godendo tutta la bellezza (la bontà) del gamay e del Beaujolais.

(Ah, ve lo dico, comunque Karim Vionnet è importato in Italia.)

Beaujolais-Villages 2020 Karim Vionnet
(90/100)

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