L’Oseleta e la rusticità che diventa avvolgenza

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L’oseléta è un vitigno antico della provincia di Verona. Il nome è il femminile di oselét, che significa uccelletto. È insomma una di quelle uve che i volatili beccano volentieri, quand’è matura. Però era un’uva caduta nell’oblio. Perché rende poco, ha grappolini piccoli, acini minuti, scorza dura, e in più è scorbutica, iper tannica. Insomma, nei tempi in cui imperava l’idea della quantità, non andava bene. Ma è perfetta per l’appassimento, e allora col successo dell’Amarone qui e là in Valpolicella l’oseléta è ricomparsa.
Il fatto è che il più esteso vigneto di questa varietà d’arcaica origine non è in terra valpolicellese, bensì sulle colline moreniche della sponda orientale del lago di Garda. A Cavaion Veronese, presso la tenuta di Villa Cordevigo. Tre ettari di oseléta alla destra del viale d’accesso di quello che oggi è un wine relais a cinque stelle. Con tanto di ristorante stellato che porta il nome – non a caso – di Oseleta.
Il vigneto è dell’azienda Vigneti Villabella, che da quelle uve ci trae un’Oseleta in purezza. Per ora prodotta solo in magnum. Un migliaio o poco più. Del resto, l’ho detto che di uva ne fa poca questa vigna.
La retroetichetta racconta che “questo vino ha un carattere complesso e difficile da decifrare, che si rivela nel tempo”. Vero, verissimo. Appena imbottigliato, è un rosso chiuso, ostico, per certi versi aggressivo, sicuramente graffiante, permaloso. Poi col tempo – e ci vogliono anni – arrotonda il carattere, e la rusticità diventa possente avvolgenza.
Ho potuto bere il 2008, ed è un rosso che ti si impianta nella memoria.
Oseleta 2008 Vigneti Villabella
(90/100)

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