L’importanza delle sacrestie (del vino)

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La sacrestia è importante. Quella del vino. Il luogo, intendo, in cui vengono conservate le vecchie bottiglie. La chiamano così gli spagnoli di Jerez, “sacristia”. Se non sbaglio i piemontesi la stanza del tesoretto vinicolo la chiamano “infernòt”. Inferno e sacrestia in questo caso coincidono. Strano.

I produttori italiani hanno da sempre, salvo eccezioni rarissime, un difetto, che è quello di non mettere da parte i loro vini delle diverse annate. Sono contenti quando svuotano la cantina, gli viene l’orticaria se resta anche solo una bottiglia prima che si confezioni il vino della nuova vendemmia. Un errore madornale, da dilettanti. Come fai a convincere la gente, soprattutto quella in giro per il mondo, fuori Italia, che fai un vino degno d’interesse – un vino che si possa chiamar “grande” – se non sei in grado di dimostrare che le tue bottiglie sanno reggere il tempo? E per dimostrarlo hai una sola chance, averle per poterle stappare e far assaggiare.

Qualcosa per fortuna incomincia a muoversi. Lentamente. Vedo un numero crescente di produttori che hanno preso ad accantonare qualche po’ di bottiglie. Ancora troppo poche, in genere, ancora di troppo poche annate, ma meglio di niente. Da qualche parte bisogna pur cominciare.

Sì, capisco che avere un caveau è un costo. Sono bottiglie che non si vendono e ci vuole un bel po’ di spazio. Minori ricavi, maggiori spese. Capisco. Però poi non stupiamoci se gli americani di territori italiani ne inseriscono gran pochi tra quelli che fanno “fine wine”. Per dimostrare che sei all’altezza delle altre grandi aree del vino, devi avere le bottiglie, e devi averne abbastanza per coinvolgere i degustatori e la critica in giro per il mondo. Su questo abbiamo un ritardo atroce da colmare, e rischia di volerci tanto tempo per colmarlo, perché i vini delle vecchie annate mica li puoi riprodurre.

Ecco, ai produttori che ambiscono ad acquisire blasone e che non hanno costruito una loro sacrestia nel passato, consiglio almeno di ricomprarsi i loro vini delle vecchie annate. Ci sono in giro eccellenti raccoglitori che girano per ristoranti ed enoteche e cantine private in cerca di bottiglie d’antan. Me ne avvalgo anch’io. Be’, produttori, quanto meno rivolgetevi a loro per mettere una pezza alle lacune del passato.


1 comment

  1. Nic Marsél

    E’ la domanda che rivolgo sempre al produttore che incrocio per la prima volta: hai tenuto da parte le vecchie annate? Confermo che, per i piccoli produttori, la risposta è molto spesso negativa e a me viene un tuffo al cuore. Suona così miope ed illogico, eppure è così. Anche per coloro che usano il tappo a vite, presso i quali mi aspetterei un’attenzione anche maggiore rispetto all’evoluzione in bottiglia.

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