L’enigma dell’interpretazione dei disciplinari

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Trovo assurdo che nell’interpretazione che normalmente si dà dei disciplinari di produzione dei vini italiani si pretenda di assimilare il vigneto al vino. Il problema – perché a mio avviso di problema si tratta – ce l’hanno i produttori di tutte le denominazioni che prevedano più di una varietà di uve.

Mi spiego. I disciplinari delle doc “plurivarietali” normalmente dicono così: “I vini a denominazione di origine controllata Tal dei Tali devono essere ottenuti dalle uve provenienti dai vitigni presenti nei vigneti in ambito aziendale, nella percentuale appresso indicata”. Leggiamo bene quel che c’è scritto: i vini devono essere fatti da uve che provengono da vigneti composti da una certa percentuale di varietà. A dover essere composto da quelle varietà è il vigneto. Da nessuna parte c’è scritto che anche il vino che se ne trae debba conservare nella propria composizione la medesima percentuale di varietà. Eppure tutti gli svariati enti preposti alla tutela e al controllo delle denominazioni pretendono che il vino sia composto nelle medesime percentuali del vigneto. Il che è semplicemente assurdo. Concettualmente e pragmaticamente assurdo.

È assurdo concettualmente perché si dà per scontato che in ogni annata qualunque varietà dia delle uve perfette per farci vini di qualità. Il che non è sempre vero. Anzi. Mettiamo il caso che il mio disciplinare preveda che il mio vigneto sia composto almeno per il 10% dalla varietà x e al massimo per il 90% della varietà y. Mettiamo il caso che la varietà x sia maturata malissimo e che il vino che se ne trae non sia di qualità, mentre il vino che ho ottenuto dalla varietà y è di magnifico livello. Per quale motivo devo essere costretto a peggiorare il vino ottenuto dall’uva y tagliandoci dentro il vino che viene dall’uva della varietà x? Eppure il mio vino lo sto facendo da uve che provengono da vigneti composti per il 10% dalla varietà x, che non ha dato uva valida, e per il 90% dalla varietà y, che ha avuto un’eccellente produzione, e dunque il mio vigneto rispetta perfettamente il disciplinare

È assurdo pragmaticamente perché può essere che in certe annate un andamento anomalo della stagione lasci il vignaiolo privo di una sufficiente quantità di una certa uva. Mettiamo sempre il caso che il mio disciplinare preveda che il mio vigneto sia composto almeno per il 10% dalla varietà x e al massimo per il 90% della varietà y. Mettiamo che io abbia piantato la varietà x sul fondovalle, perché cerco acidità, e la varietà y sul pendio, perché cerco maturità. Mettiamo il caso che una gelata primaverile mi porti via l’uva sul fondovalle, e dunque io rimanga privo della varietà x, pur avendo un’ottima produzione dalla varietà y. Che succede? Secondo l’interpretazione burocratica dei disciplinari, non ho diritto alla doc, perché non ho l’uva x. Eppure il mio vino lo sto facendo da uve che provengono da vigneti composti per il 10% dalla varietà x, che non ha prodotto uva, e per il 90% dalla varietà y, che ha avuto un’ottima produzione, e dunque il mio vigneto rispetta il disciplinare.

Lo capite che tutto questo è assurdo?

È fare l’interesse della denominazione e del consumatore, questo? Assolutamente no. Eppure si è costretti a farlo, perché gli enti burocratici costringono a farlo, dando un’interpretazione dei disciplinari che assimila il vigneto al vino. Come se si trattasse di un qualunque prodotto industriale coperto da brevetto.


2 comments

  1. Luigi Sandri

    I disciplinari non sono fatti dai vignaioli, ma da burocrati,che magari guardano con schifo la terra

  2. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    I disciplinari sono approvati dalle assemblee dei soci, che sono fatte da produttori di uva e di vino e da imbottigliatori. I burocrati non votano.

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