Le sei lezioni di Vinitaly e l’impatto sulla promozione

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Temo che, per tentare di dare un giudizio definitivo sull’esito del Vinitaly appena concluso, occorra aspettare che si svolga il ProWein di Düsseldorf, a metà maggio. Non già perché sia necessario fare un confronto tra le due fiere, quanto piuttosto per capire quale ruolo possano giocare le grandi manifestazioni fieristiche nel futuro del vino, e le due più grandi sono, appunto, il Vinitaly e il ProWein. Comunque, credo che il Vinitaly 2022 abbia rappresentato un punto di non ritorno. La mia impressione, infatti, è che, dopo un lunghissimo stop forzato ai grandi eventi, Verona abbia incominciato a tratteggiare un diverso percorso di promozione del vino, mentre i vecchi paradigmi sembrano sulla via del tramonto.

Partirei dai numeri ufficiali. Veronafiere parla di 88 mila visitatori, di cui 25 mila stranieri. Nel 2019 – l’ultimo anno di fiera pre Covid – gli ingressi furono 125 mila, di cui 33 mila stranieri. Il calo è netto, ma era ovvio che si verificasse – per via della guerra in Ucraina e del Covid, che ha impedito gli arrivi dalla Russia e dall’Asia – e per di più era voluto – per via dei maggiori filtri agli accrediti, come da anni richiesto dalla stragrande maggioranza degli espositori. Un bene o un male, questo calo? Un bene, e ritengo che in futuro i numeri dovrebbero scendere ancora, perché qualche intrufolamento di “non addetti ai lavori” c’è stato. Se in passato si sosteneva che il ProWein fosse l’unica fiera davvero B2B, mentre a Verona entravano troppi “non operatori”, questa volta il processo di riallineamento della manifestazione veronese ha prodotto una sterzata. Questa è stata la prima novità.

Conti alla mano, Veronafiere dice anche che quest’anno, nonostante i mancati arrivi di cui ho detto sopra, è aumentata l’incidenza estera sul totale, salendo al 28%. Vero, tre anni fa si era intorno al 26%. L’augurio è che questo processo prosegua, perché il vino italiano vive soprattutto di export. Questa è dunque la seconda novità, che va ulteriormente espansa e resa strutturale.

Quanto al parere degli espositori, ho raccolto versioni contrastanti. C’era chi era molto contento, e ben oltre le aspettative, e chi al contrario si lamentava di aver lavorato poco. La chiave di lettura la fornisce, in un comunicato di Veronafiere, l’amministratore delegato della holding Terra Moretti, Massimo Tuzzi, che dice: “Abbiamo preparato molto bene la fiera prima di arrivarci, quindi gli appuntamenti sono stati cadenzati e ben gestiti”. Ecco, mi è parso palese è che chi ha preparato adeguatamente la fiera, poi ha lavorato molto bene, mentre chi è andato meno preparato, se non alla ventura, è rimasto a bocca asciutta. Spero che non ci sia più alcun dubbio che alle fiere B2B è profittevole andarci solo se si fa una lunga, minuziosa preparazione, che consenta di costruire un’agenda dettagliata. Se non si fa, sono soldi buttati, e questa consapevolezza dovrebbe essere la terza novità.

In tema di mugugni, sui social ne ho letti da parte di alcuni – talora anche piuttosto stimati – che a vario titolo sono considerati o si autoconsiderano comunicatori del vino. La lamentela riguarda il mancato accredito alla fiera. Comprendo la delusione, e tuttavia, anche se capisco che mi posso tirare addosso la loro riprovazione, dico che probabilmente lo spazio adatto alla loro attività non è una fiera B2B. Le fiere B2B hanno un costo altissimo per gli espositori, e i soldi spesi per una fiera devono essere investiti per fare affari. L’avvio di una netta separazione tra il B2B e il B2C è la quarta novità di Vinitaly, e su questo lato si deve lavorare ancora molto, magari potenziando le attività di Vinitaly and the City, fino a trasferirne alcune nelle aree adiacenti la fiera (penso ad esempio alle dirimpettaie gallerie mercatali).

A questo proposito, mi ha fatto pensare un’annotazione lasciata su Facebook da una giornalista che stimo, Francesca Ciancio, la quale ha scritto che a Vinitaly “non c’è davvero nulla di interessante come proposta didattica e di approfondimento”. Lì per lì ero tentato di replicare con il ragionamento fatto qui sopra, ma poi ci ho ripensato. Infatti, se in una fiera B2B non c’è ragione che gli espositori pensino alla didattica o all’approfondimento, perché si devono concentrare sul business, questo non vale per gli organizzatori della fiera e per le realtà consortili o associative. Anzi, per queste la didattica può diventare un asset importante. Il problema è “dove” realizzarla. Di certo, non negli stand fieristici, spesso striminziti, e comunque “disturbanti” per gli espositori. Dunque, ribadisco che Veronafiere potrebbe riflettere sull’opportunità di allestire aree didattiche molto più ampie e strutturate, dando modo alla stampa, ai buyer in cerca di novità o di conferme e agli stessi comunicatori, di prendere parte ad approfondimenti di qualità. Questa dovrebbe essere la quinta novità fatta maturare da Vinitaly 2022.

Se così fosse, verrebbe ulteriormente rilanciato anche il ruolo degli uffici stampa o degli uffici di pr dei consorzi, delle associazioni e delle aziende. Ritengo che sia stato sintomo di intelligenza la marcia indietro fatta da Veronafiere riguardo all’accredito degli uffici stampa degli espositori: prima la fiera aveva negato l’accesso, poi l’ha consentito. Non ho dubbi che gli uffici stampa e gli uffici di pr che assistono gli espositori vadano considerati operatori a tutti gli effetti, perché rappresentano un supporto professionale fondamentale per chi espone. Infatti, la loro attività capillare consente di ottimizzare l’agenda degli espositori e degli stessi visitatori professionali, assistendoli nella programmazione di efficaci e funzionali momenti di incontro. Il cambio di visione dell’attività degli uffici stampa e pr ho potuto riscontrarlo, in nuce, nel Vinitaly 2022. Auspico che il trend prosegua, perché è la sesta delle novità emerse quest’anno, e non è la meno importante. Anzi, è una novità che apre, potenzialmente, prospettive nuove all’attività di supporto alla promozione del vino.

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