Di qui l’Africa, di là l’Europa, nel mezzo la Valtellina

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Ci vuol poco a capire perché si chiami Inferno, quella sottozona strapiombante della Valtellina. Basta toccare le rocce madri chiarissime che affiorano tra le vigne terrazzate. Sono calde perfino d’inverno, quando il sole è appena una presenza flebile. D’estate, sotto la canicola, sono bollenti, e intorno l’aria, nelle vallette chiuse di questo tratto di pendio, è torrida e il passo si fa di una pesantezza infernale. Poco più in là, nella sottozona Grumello, a ridosso del castelletto diroccato che ne porta il nome, i lastroni levigati di scisto rossastro sono coperti di mini cactus che danno piccoli frutti somiglianti ai fichi d’India. Le loro pale, ridotte nelle dimensioni, somigliano a delle orecchie striscianti, appiattite sulla roccia per coglierne il riverbero solare.

La natura è malleabile, si adatta, il vino ne rappresenta i mutevoli adattamenti. Le sottozone, i cru, li capisci camminandoli e bevendone i vini. Comprendi perché qui prevalga l’eleganza, là il calore, altrove la muscolarità. Meglio se hai chi ti guida, nel camminare le vigne, e io sono stato fortunato ad avere come capo cordata un piemontese nebbiolista che ora lavora il nebbiolo della Valtellina, che lì è noto come chiavennasca. Si chiama Danilo Drocco ed è il cinquantino cuneese che ha raccolto l’eredità pesante di Casimiro Maule alla Nino Negri, griffe valtellinese. Da far tremare le vene dei polsi.

Qui è Africa, di là Europa” mi dice dal grumo di roccia che dà il nome al castel Grumello, mostrandomi le vigne sull’opposto versante alpino. La frattura che scorre nel mezzo è la linea insubrica, la cicatrice rimasta lì a segnare il punto esatto della collisione tra le placche dei due continenti in formazione, trenta milioni di anni fa, e ne affiorarono la catena alpina e una vallata, questa di Valtellina, che ha un andamento anomalo, est-ovest, mentre pressoché ogni altra valle alpina è in direzione nord-sud. Così i versanti della Valtellina sono diversissimi, e in certi tratti da un alto hai le vigne e dall’altro, straordinariamente, gli olivi, testimoni del cambio climatico. “Lo dico piano, ma qui il cambiamento climatico ha prodotto cose buone, perché fino a qualche anno fa certi pezzi di valle erano si e no coltivabili, e invece oggi danno soddisfazione” sussurra Danilo.

“Vedi tutti quei campanili?” mi fa poi, segnandomi i tempietti che costellano il crinale alpestre. “Erano le sentinelle contro l’avanzata dei protestanti, dal cantone dei Grigioni, di là dalle Alpi. Ambivano a venire di qui, perché la frutta e gli ortaggi maturano prima”. Così i grigionesi valicarono i passi, ma poi vennero cacciati nel sangue. La storia trasuda ferocia, non l’impareremo mai. “Però la cristianità portò la viticoltura. Dal Cinquecento in poi si costruirono i terrazzamenti e si sono fatte le selezioni di nebbiolo, tant’è che i cloni valtellinesi sono diversi da quelli di Langa. Forse il nebbiolo si è sviluppato qui e poi è emigrato al seguito dei monaci. Chissà”.

Qui capisci perché i terroir sono fatti di vigne, di suoli, di climi, di storie, di sofferenze, di gioie, di ambiente, di umanità. Sono fatti anche di fatica. “In Valtellina si riesce a meccanizzare meno del venti per cento dei terreni. L’incidenza del lavoro manuale è micidiale, con punte di millecinquecento ore per ettaro nelle vigne coltivate a rittochino. Dove si può fare il girapoggio ce ne vogliono comunque sei-settecento”, spiega. Le esposizioni, i pendii e le altitudini fanno la differenza. Ci vanno anche dieci o quindici giorni tra la vendemmia di un tratto o di un altro. “Basta un piccolo dosso per farti riorientare il vigneto e cambiare i tempi di maturazione e lo stesso carattere dell’uva” sottolinea. Se osservi le luci e le ombre, si capisce. Insomma, quella di Valtellina è la terra delle diversità, che diventano valori, nel vino. Eppure si perdono continuamente vigne. I viticoltori invecchiano, talvolta non c’è ricambio. “Dobbiamo riportare i giovani in vigna” si cruccia Danilo.

I terroir, dicevo sopra, sono composti da tanti fattori, e in Valtellina si fanno vini di terroir. Danilo Drocco di crede a tal punto da aver voluto, alla Nino Negri, una nuova linea di vini che ha chiamato Vigne di Montagna. Ne fanno parte tre rossi, che portano il nome del vigneto. Il Vigna Sassorosso, il Vigna Cà Guicciardi, il Vigna Fracia. Sono un Grumello, un Inferno, un Valgella, figli di rocce di diverse tinte, lo scisto rosso, lo scisto bianco, lo scisto blu, rispettivamente. Capite perché quando si beve uno di questi rossi valtellinesi viene spontaneo parlare di mineralità? “Dal primo momento che sono arrivato – ricorda Drocco -, vedendo le vigne e le uve e assaggiando i vini, mi sono reso conto che il territorio è in grado di esprimere un carattere un po’ alla borgognona. I piccoli vigneti sanno restituire spontaneamente le singole identità. Per questo ho voluto fare la linea delle Vigne di Montagna, che richiede una mano enologica molto delicata”.

Però adesso voglio dire di come li ho trovati, quei vini.

Valtellina Superiore Inferno Vigna Cà Guicciardi 2019 Nino Negri. Il colore è molto bello, sottilmente granato, trasparente, e rappresenta una sorta di preannuncio dell’austerità che si ritroverà nel sorso. La sottozona dell’Inferno è calda, e se ne avverte il calore nella frutta rossa, nelle spezie piccanti (a tratti perfino canforate), nei tratti ferrosi e nei tannini, che sono febbrilmente nebbiolisti. Un rosso che abbisogna di attesa. (88+/100)

Valtellina Superiore Grumello Vigna Sassorosso 2019 Nino Negri. Questo vino ha una di quelle meravigliose tinte sottili e cristalline che mi mettono di buonumore. L’assaggio non tradisce le attese. Il frutto è croccantissimo, pulito, e persiste a lungo, e il tannino sorregge l’avanzare del sorso, come un’impalcatura perfetta. Un vino succoso, sapido, disteso e rilassante, come piace a me. Talmente antico da risultare modernissimo. (90/100)

Valtellina Superiore Valgella Vigna Fracia 2018 Nino Negri. Il sasso blu delle terrazze della storica Vigna Francia, la prima comprata dai Negri, chiede pazienza per concedere al vino di rilasciare quelle spezie balsamiche, e sovente perfino mediterranee (c’è anche il rosmarino), che ne connotano i rossi potenti. Il colore è rubino profondo, il sorso è nobile e terroso, l’acidità è netta, il sale intride il frutto. Mai così buono, il Fracia. (94/100)

Valtellina Superiore Riserva Castel Chiuro 2011 Nino Negri. L’ho assaggiato in anteprima, uscirà il prossimo anno e consiglio di prenotarlo. È compatto senza essere grosso ed è del tutto nebbiolista senza mai tradire l’intima essenza alpestre e valtellinese. Ha sale, speziatura, frutto, quasi mettesse a fattor comune le identità dei tre cru dell’azienda. Poi, l’arancia rossa, il timo, l’origano, e una bella, nostalgica lunghezza. (95/100)