Quando la sostenibilità stravolge la tradizione

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Ogni tanto e un po’ ovunque, nel mondo del vino, c’è chi si oppone ai cambiamenti nel nome della “tradizione”. Il che fa esattamente il paio, sul fronte opposto, con chi boccia alcuni vini nel nome della “tipicità”. Come se “tipicità” e “tradizione” fossero dogmi inesorabilmente impressi nel bronzo e non invece concetti in lento ma costante divenire.

Ho trovato in questo senso molto istruttiva la “lezione” che ho appreso da una recente visita nel Beaujolais. Anche da quelle parti, come un po’ ovunque nel mondo, sta crescendo il numero dei produttori che fanno affidamento su pratiche “naturali” maggiormente rispettose della salubrità dell’ecosistema, passando al biologico o al biodinamico, nel nome della sostenibilità ambientale, ma anche della ricerca di una più marcata “autenticità” espressiva delle “tipicità” locali dovute alla combinazione dei fattori ambientali e umani. Tuttavia, questa transizione, di per sé positiva, sta lentamente stravolgendo – e ancora di più lo farà in futuro -, l’assetto viticolo e dunque lo stesso paesaggio dei cru del Beaujolais.

Di fatto, da quelle parti per essere più “autentici” si finirà per essere sempre meno “tradizionali”. Il perché è presto detto. La viticoltura del Beaujolais è da secoli basata sul sistema di allevamento ad alberello basso. Gestire una vite ad alberello basso significa avere i grappolini di uva che sfiorano il suolo e questo a sua volta significa che l’uva è vicina all’umidità del suolo e, in caso di inerbimento (il biologico lo presuppone, su quei declivi così scoscesi), significa pure averla semisommersa dalla vegetazione. Insomma, tutto questo comporterebbe avere i grappoli mantenuti in un ambiente umido e pertanto favorevole all’esplosione di agenti patogeni e di muffe. Allora, l’unica soluzione possibile, se si vuole accantonare l’utilizzo dei fitofarmaci capaci di contrastare tali elementi nocivi, è “alzare” i grappoli da terra, e questo però vuol dire abbandonare il “tradizionale” alberello basso per passare al filare. Il che a sua volta porta a un radicale stravolgimento . utilizzo di nuovo questo termine, perché di questo effettivamente si tratta – del paesaggio vitato.

Non è difficile, nel Beaujolais, accorgersi di dove ci si sta convertendo al biologico. Laddove la sequenza quasi interminabile degli alberelli è “spezzata” dai filari, lì c’è chi sta facendo o ha già fatto la conversione al biologico, e ad attuare questo cambiamento epocale del paesaggio viticolo locale sono soprattutto i piccoli vignaioli, molto spesso aderenti alla federazione dei vignerons indépendants, piuttosto presente nella zona.

Giusto o sbagliato? Mah, secondo me, semplicemente, si tratta di un cambiamento “utile”, come lo sono sempre le “nuove tradizioni” in via di formazione. Com’è quella frase? “La tradizione è un’innovazione ben riuscita”. Ecco, la tradizione è esattamente questo, checché ne dicano gli ultra conservatori, per i quali, troppo spesso, è “tradizionale” e quindi inviolabile solo quel che fa comodo a loro (o quel che rassicura dalla paura di cambiare).


1 comment

  1. Carla

    Ottima riflessione!! Ben vengano i miglioramenti in ogni tradizione… Da qui nascono i presupposti dell’eccellenza!

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