La sentenza di Venezia e i tanti dubbi sul vino

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La cosa è nota. Il Tribunale di Venezia ha stabilito che “una denominazione del vino e il suo territorio, compreso il suo nome, sono patrimonio comune di tutti i produttori, aderenti o meno al consorzio che tutela quella denominazione. Nessun produttore, o nessuna associazione di produttore, dunque, anche in buona fede, può utilizzare quei valori condivisi in maniera diversa”. La sentenza è la numero 2283/2017 e potrebbe fare storia, almeno per la microstoria del vino italiano. Nel caso specifico dà ragione al Consorzio di tutela dei vini della Valpolicella nella causa verso quell’associazione che si chiama e probabilmente non potrà più chiamarsi – salvo ricorsi e ribaltamenti processuali – Famiglie dell’Amarone d’Arte.

Perché può fare storia questa decisione? Perché in giro ci sono decine di associazioni, club, organizzazioni che portano il nome di vini a denominazione di origine, e secondo quanto deciso dal Tribunale di Venezia non è lecito che questo avvenga. Non sono di certo io il primo ad annotarlo. WineNews, ad esempio, dando per primo l’annuncio dell’esito processuale, scriveva così: “Un pronunciamento, peraltro, che potrebbe avere una portata decisamente più ampia anche oltre i confini della Valpolicella, visto il gran numero di associazioni di produttori nate in alcuni dei territori più blasonati del vino italiano negli ultimi anni, tra ‘accademie’, ‘alleanze’, ‘maestri’ e così via, che utilizzano in qualche modo nel loro nome quello di una denominazione del vino italiano, in maniera privata, accanto a termini laudativi. Cosa che, a quanto pare, a norma di legge, non è consentita”.

Ma la cosa potrebbe non fermarsi alle associazioni.

Ad esempio, io sono tra coloro che non hanno mai espresso favore nei confronti del marchio Trentodoc adottato da vari spumantisti della doc Trento. Non mi è mai piaciuto perché a mio avviso confonde le idee ed oscura la denominazione, che è il vero valore di riferimento. Così, non posso che condividere quanto, saputo dell’esito della causa valpolicellese, ha scritto il wine blog trentino Territorio che resiste: “E allora non resta che attendere un’analoga iniziativa promossa da Consorzio Vini del Trentino, che ha competenza sulla denominazione Trento, nei confronti dell’allegra combriccola del Trentodoc. Perché il territorio è un valore condiviso in cui si misurano politicamente tutti i protagonisti all’interno di un ordine consortile. Con tutti i limiti del caso. Con tutte le imperfezioni, le storture e le deviazioni del caso. Ma non è, e ora lo sancisce anche un tribunale, una merce qualsiasi su cui apporre un brand commerciale”.

Ma c’è di più. Se realmente gli unici soggettivi legittimati a utilizzare il nome di una denominazione di origine sono i produttori per l’etichettatura dei loro vini (attenzione, etichettatira è anche quanto si scrive sui siti, sulle brochure, sulle scatole) e poi i consorzi di tutela in virtù del riconoscimento pubblico, c’è un altra possibile area di fragilità. Quella delle strade del vino.

Da sempre mi domando come possano esistere le strade del vino, pur originate da disposizioni normative nazionali e regionali. Per me creano e hanno sempre creato confusione, a prescindere dalla loro gestione. Ora il poblema mi pare ancora più complesso. Se infatti, come dice il Tribunale di Venezia, la denominazione è un “patrimonio comune di tutti i produttori” e come tale non può essere utilizzato per identificare cose diverse dal vino, secondo precise regole, come si fa a giustificare ulteriormente l’esistenza di soggetti privatistici come la strade del vino, che utilizzano il nome della denominazione, spesso ricevendo anche per le loro iniziative finanziamenti pubblici?

 


1 comment

  1. Angelo Rossi

    Condivido appieno e rincaro la dose. Nel caso della DOC Trento, a seguito dell’utilizzo del marchio commercial-promozionale Trentodoc, si sono ingenerati danni collaterali ancor più gravi della stessa violenza all’assunro fondante della disciplina delle D.O. Infatti, la focalizzazione dell’azione promozionale istituzionale (finanziata da fondi pubblici) su Trentodoc anziché su Trento (la vera denominazione disponibile per tutti) ha di fatto inibito lo sviluppo del pensiero verso la categoria superiore DOCG cui dovrebbe aspirare un metodo classico del livello qualitativo esistente in Trentino. E aggiungo: essendo questo territorio piccolo e gli spumantisti quasi sempre impegnati anche nell’elaborazione di vini fermi di qualità (DOC), anche per DOC importanti come Teroldego rotaliano e la ventina di tipologie tutelate dalla DOC Trentino si è preclusa – fin qui – l’idea del passaggio alla DOCG. Dopo tre lustri di questo andazzo vediamo i risultati: il confronto con altoatesini e anche con i veronesi è tremendo, tanto sono andati divaricandosi i valori fondiari e le quotazioni di uve e vini, con conseguente svaporazione dell’immagine e della notorietà di tutto il territorio.

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