La perfezione, a volte, annoia

calice_vino_bianco_trasparente_500

Una delle obiezioni che mi sono pervenute in merito al mio articolo sulla persistenza dell’opportunità di una valutazione “numerica” dei vini è che se faccio prevalere l’elemento identitario e la piacevolezza soggettiva, allora rischio di assegnare una valutazione positiva anche a vini che presentino delle imperfezioni tecniche. La mia obiezione è che non è vero che corro questo rischio, semplicemente perché non lo considero un rischio, e anzi è esattamente quel che, talvolta, faccio.

Capiamoci, i vini palesemente difettosi non li tollero. Tuttavia, se devo scegliere tra un vino leggermente imperfetto (una sottilissima volatile, un accenno minimo di brett) che tuttavia esprima in maniera nettissima la propria appartenenza territoriale e dall’altro lato un vino enologicamente perfetto che tuttavia non mi trasmetta alcuna informazione identitaria oltre alla propria correttezza compositiva, preferisco di gran lunga il primo. Di più, al primo dedico attenzione, all’altro no. Ed ora se qualcuno mi viene a dire che così premio i vini puzzoni, be’, potrei rispondere in malo modo, perché sarebbe una forzatura del mio pensiero. Ho già scritto sopra e lo ripeto che un palese errore enologico è inaccettabile, ma si dice che Venere fosse leggermente strabica, ed era la donna più bella del mondo. E qui stoppo subito un’altra obiezione: questo ragionamento non dà il via libera, da parte mia, al difetto enologico, neppure minimo. Ovvio che il massimo è un vino perfettamente corretto sotto il profilo stilistico e insieme perfettamente territoriale e identitario (e il massimo dei massimi è che sia anche figlio di pratiche sostenibili in vigna e in cantina), ma ci sono dei limiti nei quali l’imperfezione è accettabile e accettata.

Infatti, come ho detto nel mio precedente articolo, la piacevolezza, per me, è insieme gustativa e culturale, e dunque organolettica e intellettuale. Le due facce viaggiano insieme. L’identità di un vino, la sua appartenenza a un territorio, è tra gli elementi basilari del piacere culturale, intellettuale, cognitivo. Se manca quest’identità, il vino, per quanto sia ben fatto, si riduce a una bevanda alcolica, a una commodity, e non è questo che cerco da un vino. Io cerco i vini che i francesi definiscono “di terroir” e l’aspetto culturale è la componente essenziale dell’idea stessa di terroir. Un vino mi deve dunque stimolare intellettualmente, e per farlo deve possedere una chiarissima identità, la quale prevale – in certa misura – sul resto. Per quanto ovvio, il difetto palese, così come l’eccesso di tecnicismo (macerazione eccessiva inclusa), oscura l’idea di terroir, e dunque il vino non è nelle mie corde. Ma un neo, una ruga, una sottile piega del volto non potranno mai prevalere sulla bellezza di una persona, e così accade per il vino. La perfezione, a volte, annoia.


1 comment

  1. Giacomo Mojoli

    /Users/giacomomojoli/Desktop/editoriale IMPER..pdf

Non è possibile commentare