La gioia che può dare il Moscato col prosciutto

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Il Moscato d’Asti. Confesso che mi piace, e molto. E che lo reputo un vino di riferimento. Che gli altri italici produttori bianchisti dovrebbe assaggiare, provare, testare, valutare, studiare con attenzione. Mica per far vini uguali, no. Ma per capire i limiti. Per comprendere, intendo, dove sia il confine, che pare labile (e forse labile in effetti è), tra eleganza e grossolanità, tra armonia e stridore. Ché oggi è qui che si gioca la partita. E il Moscato non ammette errori: dolce, aromatico, effervescente, di poco corpo, o impronti il vino sulla finezza, o non c’è nulla da fare, e avrai stucchevolezza.

Ecco: è qui il limite, è qui la sfida vera. Nei tempi (al tramonto, spero, di quei tempi) della concentrazione, del muscolo, della potenza, della struttura portata agli eccessi, del legno prevaricante, del tannino angosciante, c’è nell’Astigiano chi insegna che invece si può agire sulla levità, sulla leggerezza, sulla nuance. Che diventa fascinazione. Che intriga. Che avvince, perfino.

Eppoi, piantiamola, vivaddìo, di considerarlo vin da dessert, il Moscato. Ci sta, certo, con le torte di mele e di pere, con le creme. Ma è vino. E a me piace pensarlo coi formaggi cremosi, magari, o coi salumi, in primis col prosciutto crudo, quello più dolce, giovane. Provatelo, Moscato e prosciutto: abbinamento da favole, accostamento che pare, sì, azzardato & trasgressivo, e invece è sognante connubio, con la dolcezza tattile del grasso di maiale che s’associa per similitudine con la morbidezza fruttata del vino, con la salagione che si fone con la lieve speziatura liquida, col pizzicore della vivacità minuta che pulisce il palato e prepara al nuovo boccone e al nuovo sorso, e la bocca è un’ondata di saliva. L’acquolina in bocca, s’usa dire.

Articolo originariamente pubblicato l’11 novembre 2007