La fisica, la conoscenza e il vino

rovelli_fisica_240

Ah, la fisica. Non siamo mai andati d’accordo io la fisica al liceo. Sempre trovato semplicemente stupido perdere tempo a calcolare in quanto tempo si svuotasse una vasca da bagno: quando è vuota è vuota, punto. Altrettanto sbattersi per dimostrare dove va a cadere una palla di legno lanciata da un aereo, cosa che di per sé rasenta il criminale.
Per questo mi sono stupito di me stesso quando – quasi agendo come altro da me – ho comprato le “Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Rovelli. Il librino pubblicato da Adelphi, intendo, bellissimo e terribile. Però Rovelli scrive da dio, e allora la tentazione è stata forte e non ho resistito. Per la prima volta in vita mia mi sono goduto un testo di fisica. C’è sempre una prima volta.
Ci ho letto anche una considerazione che, opportunamente traslata, m’aiuta a comprendere un po’ meglio il dibattito attuale fra i bevitori di vino su cosa sia il “buono”. Con gl’integralismi connessi, nel nome dell’interventismo enologico o del naturalismo assoluto.
Dice Rovelli: “Le immagini che ci costruiamo dell’universo vivono dentro di noi, nello spazio dei nostri pensieri. Fra queste immagini – fra quello che riusciamo a ricostruire e comprendere con i nostri mezzi limitati – e la realtà della quale siamo parte, esistono filtri innumerevoli: la nostra ignoranza, la limitatezza dei nostri sensi e della nostra intelligenza, le condizioni stesse che la nostra natura di soggetti, e soggetti particolari, mette all’esperienza. Queste condizioni, tuttavia, non sono universali, come immaginava Kant, deducendone poi, evidentemente a torto, che la natura Euclidea dello spazio e perfino la meccanica Newtoniana dovessero essere vere a priori. Sono a posteriori dell’evoluzione mentale della nostra specie, e sono in evoluzione continua. Non solo impariamo, ma impariamo anche a cambiare gradualmente la nostra struttura concettuale, e ad adattarla a ciò che impariamo. E quello che impariamo a conoscere, anche se lentamente e a tentoni, è il mondo reale di cui siamo parte. Le immagini che ci costruiamo dell’universo vivono dentro di noi, nello spazio dei nostri pensieri, ma descrivono più o meno bene il mondo reale di cui siamo parte. Seguiamo tracce per descrivere meglio questo mondo”.
Ecco, sostituiamo “universo” o “mondo” con “vino”e il discorso comunque regge, fila, spiega. Spiega, intendo, che occorre avere coscienza delle nostre limitatezze, e che l’imparare è un processo continuo e infinito e che procede “lentamente e a tentoni”. Correggendo volta per volta, con la conoscenza, l’effetto dei molti filtri che si sovrappongono al nostro vedere. In un percorso che prende avvio dall’elementare affermazioni del “mi piace” e si sviluppa lungo la trama del nutrimento costante dell’idea di piacere, attraverso la conoscenza delle tante tracce in evoluzione continua.
Dobbiamo costantemente seguire queste tracce per cercare di descrivere meglio questo nostro vino che tanto ci appassiona. Consapevoli che le condizioni non sono vere a priori. L’integralismo non appartiene a questo (inevitabile e benefico) percorso.