La felicità è una scelta personale, anche col vino

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“La felicità è, in ultima istanza, una scelta personale”. La frase non è mica mia. Magari fossi capace di scrivere frasi del genere. Invece l’ha scritta Zygmunt Bauman, sapete, il sociologo e filosofo che è scomparso in gennaio, quello della “soietà liquida” e delle analisi sull’idea di “modernità”.

Ecco, in questa frase mi ci riconosco. Anche quando mi occupo di vino. Forse soprattutto quando mi occupo di vino, visto che ne scrivo quasi ogni giorno. Perché, sì, cerco i vini che mi diano felicità e la felicità è una scelta personale, soggettiva. È questo il motivo per cui non credo possa esservi un metodo oggettivo per valutare un vino. O meglio, c’è un metodo oggettivo per descriverne le componenti, ovvio, attraverso le analisi fisiche e chimiche, ma è impossibile circoscrivere il piacere all’analisi razionale, perché il piacere è, per fortuna, personale, soggettivo.

Io cerco il piacere del vino. Che è dato certamente anche da elementi razionali, giacché più è ampia la cultura personale, più c’è modo di cogliere quelle sfumature che arricchiscono la piacevolezza. Ma il piacere e la felicità non possono essere fatti di numeri, di dati, di quantità, di pesi, di misure. Sono soggettivi, personali.

Allora mi si obietterà che a nulla servono i miei giudizi su questo o quel vino, giacché non sono oggettivi per definizione. Rispondo che sì, sono soggettivi e descrivono la mia personale maniera di “sentire” il vino, e dunque possono avere un’utilità per chi si trovi a condividerne l’idea di fondo, quella della ricerca della piacevolezza. Dico che “possono” averla, non che necessariamente ce l’hanno. Non ho pretese di oggettività. Sarà un limite, ma è un limite che mi appartiene e appartiene alla mia maniera di rapportarmi col mondo che mi circonda. Ma so di non essere solo, in questo modo di rapportarmi con la vita. Per fortuna, di nuovo.