La cattiva comunicazione del vino

andrea_240

Se, col 95% dei vignaioli, tocchi l’argomento della comunicazione, la risposta più o meno sarà sempre la stessa: “Tra vigneto, cantina e scartoffie burocratiche non abbiamo mai tempo di stare sui social per raccontare il nostro vino”.
Se in questo contesto si escludono aziende strutturate come ad esempio Santa Margherita o Zonin, che hanno una loro direzione marketing, la soluzione ai problemi di questi “poco social” vignaioli, che comunque capiscono l’importanza di essere in Rete, è sempre più spesso delegata alle c.d. web agency la cui scelta mi viene soventemente motivata con le seguenti parole: “Non avendo possibilità di stare su internet lascio fare a loro. Chi me l’ha consigliato? Beh, so che anche Tizio e Caio hanno fatto così…”
Il principio di causa ed effetto, in questo caso, è lampante e prende forma nella immensa e variabile quantità di comunicati stampa che ogni giorno i comunicatori del vino 2.0, IGP soprattutto, ricevono all’interno della casella di posta elettronica.
A parte la quantità di missive del tutto inutili per contenuto informativo, ultimamente mi è capitato di imbattermi in una serie di mail la cui lettura dovrebbe avermi provocato qualcuna di quelle espressioni che sono tipiche di Mr. Bean.
No, non sto esagerando, leggere certi comunicati, come ad esempio l’ultimo che mi è arrivato pochi giorni fa, genera proprio questo tipo di reazioni e non potrebbe essere diverso se, aprendo la mail, ti ritrovi il seguente messaggio: “Siamo degli entusiasti produttori friulani della zona doc Isonzo, desiderosi di far conoscere un po’ di più la ns regione e la ns doc. Non molti sanno, di fatto, che la doc Isonzo, per mineralità  e struttura dei vini, è denominata la ‘piccola Borgogna’.
Dopo aver (invano) riletto la mail per almeno tre volte sperando di aver capito male o, comunque, di aver interpretato male lo scopo della comunicazione, la successiva domanda che mi sono posto è stata la seguente: perché?
Perché, cara azienda vinicola, scegli una agenzia di comunicazione la cui conoscenza del vino è paragonabile alla mia cultura in tema di isotopi del carbonio?
Perché scomodare la Borgogna, trattata tra l’altro in senso molto generale, se poi mi presenti vini a base sauvignon blanc e friulano?
Ma, soprattutto, perché caro mio amico vignaiolo, non rileggi ciò che viene scritto su di te prima che tutta la Rete ti spernacchi come è successo in questo caso?
Soldi buttati che, invece di portare benefici, recano solo danni di immagine all’azienda visto che i destinatari non sono, con tutto il rispetto, le casalinghe di Voghera ma seri professionisti ed appassionati di vino. Se queste persone, dopo anni di esperienza non sanno che la doc Isonzo è conosciuta come la Piccola Borgogna un motivo ci sarà. O no?
Cari amici vignaioli, mentre vi faccio riflettere su questi pochi ma essenziali concetti, vado a domandare al signor Leflaive i motivi per cui Montrachet dovrebbe essere denominata la piccola Isonzo…
Buona Estate!


1 comment

  1. WineRoland

    Qualche giorno addietro leggevo un articolo simile su Meininger’s. Aggiungendo le tue considerazioni, sembra proprio che fare comunicazione del vino sia considerata un’attività piuttosto balzana. Le grandi aziende si preoccupano di inviare i propri campioni a decine di wine blogger che possano attribuire punteggi da 90 in su, quelle medie scimmiottano le grandi e quelle più piccole si limitano a partecipare a qualche fiera. In tutto questo manca sempre il legame con il territorio (la tua battuta sulla Borgogna conosciuta come il Piccolo Isonzo è fantastica).

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