Incontrando Paola, Giorgio e Giulio Abrigo

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Devo dire la verità, mi dichiaro colpevole senza possibilità di appello, l’azienda Giovanni Abrigo è stata una delle prime a mandare i vini a Lavinium, ben 16 anni fa, e io non sono mai andato a trovare la famiglia. Ci è voluto uno dei viaggi del gruppo IGP in Langa per riuscire finalmente a colmare questa grave lacuna. Incontrare Paola Abrigo e sentirmi dire “vi seguiamo da sempre”, da una parte mi ha emozionato e dall’altra mi ha fatto sentire ancora di più il peso della mia mancanza, tanto più perché i loro vini mi sono sempre piaciuti.

Insomma, l’8 novembre scorso, con Carlo Macchi, Lorenzo Colombo, Pasquale Porcelli, Maria Grazia Melegari e Marina Betto siamo andati a Diano d’Alba, ospiti di Paola, Giorgio e il figlio Giulio. Essendo sera e la bellezza di quattro giorni che pioveva incessantemente, non abbiamo potuto vedere le vigne, ma abbiamo fatto un giro per la cantina, poi cena tutti insieme, una bella tavolata in un’atmosfera serena e scanzonata, come ci conoscessimo da sempre.

L’azienda è una delle produttrici storiche di Dolcetto, io l’ho conosciuta così, con le sue selezioni, a cui affiancava l’Arneis, la Favorita – un vino bianco doc Langhe che viene proposto in versione leggermente frizzante (senza carbonica aggiunta), che ben si presta per antipasti e spuntini veloci e non impegnativi; il Nebbiolo d’Alba, maturato un anno in botti di rovere e la Barbera d’Alba Marminela, maturata in cemento.

Dal 2013 è entrata a far parte del parco vigneti una fetta della menzione geografica Ravera nel Comune di Novello, circa 2 ettari di nebbiolo da cui nasce il primo Barolo aziendale, che prende il nome del cru. Qui a Diano, sebbene il Dolcetto abbia sempre avuto il ruolo principale, avere in produzione anche il Barolo non è certo un fatto secondario, anzi, è già una fortuna riuscire a trovare un pezzo di terra a nebbiolo da Barolo, spesso costosissimo; chi ci riesce è quasi come se avesse vinto al superenalotto! Il Barolo fa sempre la sua figura e accende l’interesse, sappiamo bene quanto il Dolcetto fatichi sul piano commerciale, sebbene Paola e Giorgio ci riferiscono che i loro Dolcetti sono sempre andati bene.

E io gli credo, anche perché sono davvero notevoli: mi è rimasto fortemente impresso il Dolcetto di Diano d’Alba Garabei 2007 degustato nell’aprile scorso, un vino sorprendente, ancora vivo e con una complessità che non ci si aspetta, abituati a bere sempre il Dolcetto entro uno-due anni dalla sua uscita in commercio. Devo dire però che il Dolcetto, per quanto possa invecchiare a lungo non avrà mai quella profondità, quell’eleganza che sa dare un grande nebbiolo, mentre in gioventù, soprattutto nei primi anni di vita, può sbaragliare la concorrenza con la sua beva trascinante. Questo non vuol dire che non si possano bere ottimi Dolcetto con un po’ di anni sulle spalle, ma oltre una certa data la differenza da bottiglia a bottiglia si fa sentire troppo, il rischio di aprirne una e rimanere delusi cresce con il passare del tempo. Quando, però, abbiamo di fronte una materia prima con i fiocchi, proveniente da una zona più che idonea a questo non facile vitigno, puoi azzardare 4-5 anni di evoluzione. Ne è stato un perfetto esempio il Dolcetto di Diano d’Alba Superiore 2012 che abbiamo degustato durante la cena, un rosso trascinante, floreale, succoso, ancora fresco, balsamico, di una bontà che accende tutti i sensi e ti cambia l’umore.

Abbiamo assaggiato anche il neonato Barolo Ravera 2013, che ha messo in evidenza quei tratti che già avevamo riscontrato in tanti campioni della stessa annata durante le sessioni mattutine di degustazione effettuate proprio in quei giorni: naso maturo, quasi etereo, mentre al palato emerge un tannino ancora teso, difficile, bisognoso di tempo. Rispetto ad altri Barolo questo mi è sembrato meno aggressivo, provvisto di un ottimo bagaglio aromatico e di un allungo che lascia supporre possibili miglioramenti nei prossimi anni.