Il Vesuvio che vorrei

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È stato un anno molto sofferto per il territorio intorno al Vesuvio. Siamo abituati a vederlo tutti i giorni dalle finestre di casa o dall’auto quando prendiamo le varie arterie stradali che ci collegano a Napoli o ci portano verso sud. Ci piace guardarlo, in effetti nella forma è elegante ed armonioso,  protagonista di un paesaggio mozzafiato che sembra disegnato ad arte.

Oggi incute tristezza. Dopo i terribili incendi di questa estate osservare le grandi ferite, immense bruciature che hanno preso il posto del verde dei boschi ricoprendolo di un marrone cupo, mette inquietudine. Ti chiedi come sia possibile che qualcuno preferisca tale scempio e bruttura alla bellezza. Quella bellezza che la natura ci ha generosamente messo a disposizione da sempre rendendoci un popolo solare ed al centro della grande storia.

E già, perché questa terra è così divina che ha attratto nei millenni tanti furbacchioni arrivati dal Mediterraneo e dall’Europa per investire e quindi produrre ed espandersi con il duplice vantaggio di vivere, abitare in un paradiso terrestre.

Devo dire che i locali, gli autoctoni, non hanno mai avuto tali capacità e altrettanta ammirazione. Terminati i lunghi periodi di dominazione, si sono sentiti liberi innanzitutto di invadere il territorio con il cemento. Case, palazzi, parcheggi, centri commerciali spuntano come funghi, non se ne può più. Eppure i boschi custodiscono una biodiversità unica e ricca, sia floristica che faunistica. L’agricoltura a sua volta ha sviluppato nei millenni una esperienza straordinaria, specializzata in una infinità di colture, grazie alla generosità del suolo vulcanico e del clima del golfo  così favorevoli.

Quanto sono belli i nostri piennoli?  Sono così perfetti e vivaci nel colore i pomodorini da sembrare finti. Lo stesso vale per le albicocche, le papaccelle, le ciliegie, le noci, le verdure e gli ortaggi hanno un sapore eccezionale. I vigneti poi sono di uno splendore unico, sia che mantengano il tradizionale sistema a tendone, sia che abbiano assunto quello a spalliera. Il colore grigio dei lapilli, le micro pomici che ricoprono il suolo, ne fanno risaltare colori e forme. Il gran cono del Vesuvio sembra seduto a riflettere silenziosamente sulla sommità delle vigne creando una varietà di forme di piena armonia.

Spesso i vigneti guardano verso il mare, offrendo un’ampia prospettiva sul golfo di Napoli che va da Monte di Procida, a nord, fino alla costa di Sorrento, a sua volta montuosa, quindi il paesaggio si articola in maniera molto varia ed affascinante.

Il Vesuvio che vorrei è ricoperto di questi vigneti, proprio come mostra l’affresco di Pompei, quello famoso che rappresenta Bacco rivestito di acini con alle spalle il vulcano cosparso di filari di vite.

Vorrei che la gente del posto smettesse di chiedere vini dai nomi più accattivanti e acquisisse finalmente la consapevolezza che sul Vesuvio c’è chi produce grandi bottiglie. Che cominciasse ad acquistarle di frequente, a regalarle come fossero un dono pregiato, raccontando la loro storia, la natura dei suoli e dei luoghi che danno loro vita.

Le vigne sono circondati dai boschi dei grandi pini ad ombrello, in un abbraccio di tenera complicità, e proprio quelle aree curate da vignaioli e contadini hanno fermato i roghi in moltissimi casi. Sono loro i custodi preziosi del territorio, quelli che se ne prendono cura evitando i disastri ambientali causati dal degrado delle aree abbandonate o dal troppo cemento.

Vorrei che le nostre coste, nere e luccicanti, tornassero ad essere dei porti sicuri ed accattivanti, permettendoci di frequentarle e di tuffarci nel “nostro” mare. Che la cultura invadesse ogni cosa e ogni dove, comprese le coscienze, troppo spesso ignoranti, sorde e cieche.

Vorrei… un miracolo, sì, ci vorrebbe proprio un miracolo.


1 comment

  1. Gennaro

    Anch’io lo vorrei così, che ci fosse però un maggior rispetto verso il territorio, sopratutto dagli stessi abitanti, con le stradine più pulite, con meno segni della presenza dell’uomo se non quelli della cura del suolo e delle sue colture. Un territorio più aperto e più fruibile.

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