Gruajo, selvatico e rarissimo capolavoro veneto rosso

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Il primo aggettivo che mi è venuto in mente è stato “selvaggio”, per via di quel frutto e di quel tannino che mi sono sembrati indomiti e selvatici. Il secondo aggettivo è stato “torbato”, perché mi ha ricordato l’odore della torba umida e anche l’affumicato di certi whisky delle isole scozzesi.

Ecco, adesso che ho provato il Gruajo, lo inserisco di netto nel mio personale elenco dei vini più rappresentativi dell’autoctonia veneta. Tabaccoso e fumoso come una serata passata a bere e chiacchierare e stramaledire in una serata umida d’autunno col camino acceso che fatica a tirare, ma c’è buona compagnia e non ti viene voglia di salutare e andare a casa a dormire e andresti avanti così tutta la notta, un sorso dopo l’altro, con le voci che prima si alzano di tono, per il principio d’ebbrezza che ti prende, e poi s’attenuano, per la stanchezza e, forse, per un po’ di malinconia.

Adesso che l’ho bevuto ho capito perché Firmino Miotti l’ho sentito dire a mezza voce che i suoi vini lui li mette tutti sullo stesso piano, e però il più famoso è vero che è il Torcolato, ma lui beve il Gruajo. L’ho capito e vorrei berne più spesso di vini così. Così, intendo, simili solo a se stessi. Fuori da ogni possibilità anche minima di omologazione.

“Gruajo – mi spiega Franca Miotti, la figlia di Firmino, ed è lei da diciott’anni a fare i vini – è una varietà autorizzata per Breganze, ma non è stato fatto l’iter, per poca disponibilità di uva, per la catalogazione a igt, per cui è un vino da tavola, un vino rosso. La varietà è sempre stata chiamata cruvaio o cruvaggio, poi a casa i miei lo chiamavano cruaio, abbreviazione dialettale di cruvaio. A fine anni Settanta, poiché hanno iniziato i controlli per l’etichettatura dei vini, ci hanno obbligato a togliere il nome della varietà e a mettere un nome di fantasia. Ecco allora che abbiamo cambiato cruvaio in Gruajo e registrato il marchio, ma poiché siamo gli unici ad averlo sempre mantenuto, lo hanno iscritto col nome da noi registrato. Ne disponiamo di 0,1228 ettari e ne potremmo produrre fino a 20-23 etolitri, quantità però mai raggiunta fino ad ora. Era molto diffusa nell’Ottocento, ma le prime fonti scritte ne parlano nel Settecento. Ci è stato lasciato in eredità dal bisnonno e poiché mio padre ha iniziato a riprodursi le viti a 6 anni, lo abbiamo sempre mantenuto. Era considerata un’uva maledetta perchè quando matura alcuni chicchi rimangono verdi e non maturano più. È molto brutta da vedere anche in raccolta, per cui non la piantavano mai nei filari vicino i passaggi, ma sempre all’interno, nascosta. L’ho vista completamente matura solo nel 2001 e 2006. Da qui il nome del vino cruvaio, da crudo”.

Ecco, con la spiegazione di Franca ho capito perché l’ho trovato selvaggio, il Gruajo. E per me è un capolavoro.

Gruajo 2016 Firmino Miotti
(95/100)

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