Fare grandi vini nelle annate difficili

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Una degustazione di vini provenienti da annate considerate difficili per le temperature estreme. Millesimi quindi atipici e per certi versi eccezionali. L’ho potuta fare al Grand Tasting di Michel Bettane e Thierry Desseauve. La domanda è: come sarà il profilo del vino nel tempo? Riusciranno questi vini ad evolvere e a sostenere l’incalzare del tempo? Il mio tentativo di risposta nelle schede che voglio proporvi per ciascuno dei vini, provenienti in gran parte dalle complicate vendemmie 2003 e 2009.

Laurent Perrier, Champagnes Grand Siècle. Assemblage des millésimes 1990, 1993 et 1995. Servito da jéroboam. Uno Champagne di cui non conoscevo l’esistenza. È un’etichetta rara ed eccezionale, frutto dell’assemblaggio di annate calde con una più contrastata, il 1993. Grand Siècle nasce nel 1950 dalla volontà di creare una cuvée di prestigio che dimostrasse il massimo potenziale dei vini della maison. L’idea era di scegliere vini di annate degne di essere millesimate, e di metterli insieme per trovare un risultato che superasse il valore della singola annata. Nel farlo si sono sempre unite annate più fresche ad altre più ricche di materia. Nel 1959 esce il primo Grand Siècle, frutto dell’unione di 1952, 1953 e 19555. Da allora si sono succedute venti edizioni, sempre prodotte con gli stessi criteri. Per il bicentenario della casa è stato deciso di produrre una cuvée eccezionale, con un invecchiamento molto lungo. Solo grandi formati. Il naso è ricco, austero e minerale, per nulla ruffiano. Dopo l’iniziale nota di pietra focaia il vino si apre con estrema lentezza su profumi più dolci. Al palato è giovanissimo e affilato, complesso e con un frutto esotico che contrasta perfettamente la vena più acidula. La mineralità gessosa porta ai grandi chardonnay del villaggio di Mesnil-sur-Oger. Si susseguono note di muschio, tè verde, agrumi, e nel finale sa di crema di liquirizia. Uno Champagne vibrante che i più fortunati potranno mettere in cantina per lunghi anni. (99/100)

Louis Latour, Montrachet Grand Cru 2003. Questo produttore di Beaune dispone di 48 ettari di vigne e poi, nella grande tradizione dei négociants di Borgogna, acquista uve da conferitori storici. È conosciuto per i suoi Aloxe-Corton, e tra i bianchi per i Puligny e Chassagne-Montrachet. Possiede una parcella esattamente al centro del mitico grand cru Montrachet, 0,60 ettari sui 7,99 totali del cru, per una produzione media di 8000 bottiglie all’anno. Anche qui il 2003 è stato un anno caldo, si è vendemmiato il 17 agosto, circa quindici giorni prima di una raccolta “normale”. La resa è stata di 20-25 ettolitri per ettaro. Si è lavorato al mattino per mantenere la freschezza. Affinamento in botti nuove per dieci mesi, la malolattia non è stata fatta. Imbottigliamento più rapido del consueto. Il vino ha un colore fantastico, forse l’abito qui fa anche il monaco. Al naso dominano le note di legno nobile, mandorle tostate. Un insieme certo ricco ma non iperconcentrato. La poca acidità del palato si fa perdonare per il lato più salino e per le note agrumate che conferiscono freschezza. Gli aromi faticano ad uscire, il vino è un po’ compresso ma con pazienza si percepiscono anche gli aromi più fini, quasi schiacciati dalla potenza alcolica del millesimo. Un vino edonista, grasso e fruttato, ha un bilanciamento tutto suo che però funziona. Ha la forza del vino rosso. Non è detto che solo i vini più delicati siano interessanti. Qui si sente tutto l’effetto dell’annata, e non possiamo che approvare questa scelta. (96/100)

Bouchard Pére et Fils, Volnay Les Caillerets 1er Cru 2003. Si tratta di una vigna simbolo per Bouchard. Fu infatti la prima parcella acquistata nel 1795. Oggi all’interno del cru Bouchard possiede tre vigne che sono state vendemmiate in tre volte ad agosto, circa un mese prima del solito. In generale la Côte de Beaune ha avuto una maturazione più rapida dei grappoli rispetto alla Côte de Nuits. Il vino ottenuto è il frutto di un lavoro titanico: sono stati eliminati i grappoli più secchi e poi sul resto è stata fatta una selezione acino per acino. Gli acini avevano una buccia particolarmente spessa e di conseguenza poco succo. Le macerazioni più corte hanno consentito una estrazione più dolce. L’uso del legno nuovo è stato limitato al 50%, cosa di cui non ci dispiacciamo. Questo Volnay ha un bel colore e un naso che si avvicina alla confettura, sui seguono sfumature di tabacco e arancio. Il palato è avvolgente, con un frutto dolce che ci riporta alla maturità dell’uva. Alla fine è piuttosto equilibrato, anche se accusa una certa secchezza tannica che non potrà mai risolversi del tutto. (90/100)

Antinori, Toscana Tignanello 2003. Come sempre è ospite un vino italiano. Si tratta di un classico toscano prodotto per la prima volta nel 1971. Si è voluto provare a fare un vino che partendo dal Chianti andasse ad esplorare territori sconosciuti. Quindi massima libertà e ricerca dell’assemblaggio più interessante. Oggi Tignanello vede circa un 80% di sangiovese, al quale si aggiungono un 15% di cabernet sauvignon e un 5 % di franc. L’annata 2003 si è rivelata nel tempo e presenta un colore scuro e poco evoluto. Al naso dominano le note di legno, che sfumano nel tabacco da sigaro, l’affumicato, e il vegetale. Inizia piuttosto rigido, quasi dominato dalla massa tannica, per riscattarsi solo parzialmente nel finale. Ha una nota medicinale. Un vino che denuncia la difficoltà del millesimo, i tannini non hanno raggiunto la perfetta maturità fenolica e seccano nel finale. Forse servivano meno estrazione e meno legno. (85/100)

Château Montrose, Saint-Estèphe 2003. La particolarità di Montrose è il suo terroir, ai bordi dell’estuario della Gironda. Questa posizione consente un supplemento di freschezza proprio nelle annate particolarmente calde, ed è stato fondamentale proprio nel 2003. La primavera è stata molto piovosa, e il sottosuolo di argilla ha permesso di controllare l’apporto di acqua nei momenti di maggiore calura. Inoltre l’estuario ha contribuito a moderare gli eccessi meteorologici. Funge da cuscinetto sia nelle annate calde come il 2003 che in quelle fredde. Inoltre c’è una notevole ventilazione perché i vigneti sono aperti verso il fiume. In quest’anno il merlot è stato molto precoce, mentre in realtà il cabernet sauvignon, spina dorsale di Montrose, è stato raccolto il 23 settembre, quindi nella media. Il colore è denso e ricco. Il naso continua su questa linea con una grande complessità e propone resina di pino, frutti neri, agrumi come il cedro e l’arancia, terra e tartufo nero. Il palato è caratterizzato dalla imponenza dei cabernet, sontuosi e speziati. Ne risulta un palato compatto, solido, ancora tannico ma molto fresco. Lo ho trovato classico, senza eccessi e davvero fedele al terroir, che in questo caso ha prevalso sul millesimo. Ne riparliamo tra venti anni almeno. (94/100)

Château Pichon Baron, Pauillac 2009. Per un appassionato di Pauillac come il sottoscritto, Pichon Baron rappresenta quasi l’emblema della denominazione. Un po’ perché i più famosi cru sono inarrivabili in termini di prezzo, un po’ perché si tratta di una etichetta quasi didattica, che ti fa capire cosa dovrebbe essere un grande Pauillac. Il vino nasce dall’unione di vari terroir nella zona Sud-Est di Pauillac, le vigne più vecchie sono intorno al castello. Qui il microclima è diverso, e si mettono in campo tutte le energie per preservare la tipicità e personalità del cru. Il 2009 è stato meno caldo del 2003, quindi un anno che ha vissuto meno eccessi. La vendemmia si è svolta nella media il 26 settembre. La produzione è stata limitata per non avere troppi grappoli in vendemmia. La composizione del vino vede un 75% di cabernet sauvignon accanto a un 25% di merlot. Il colore è scurissimo. Al naso prevalgono i frutti di bosco come i mirtilli, la grafite, la menta secca. Entrano poi le spezie e termina balsamico. Ha una notevole profondità. Magistrale il palato, che riesce ad essere muscolare restando leggero. I tannini sono fitti ma estremamente dolci e maturi. Stupisce, e questo è l’effetto del millesimo, perché riesce ad essere buonissimo oggi pur avendo dei margini di evoluzione enormi. Non è un peccato berlo oggi per il piacere edonista che suscita. Una grande espressione minerale del cabernet sauvignon e del terroir di Pauillac. (96/100)

Vieux Télégraphe, Châteauneuf du Pape Rouge 2009. Daniel Brunier incarna la quinta generazione a coltivare questo cru di Châteauneuf du Pape. Una avventura iniziata nel 1890. La Crau è un territorio che si trova nella parte più alta della denominazione. Il mistral soffia qui per oltre duecento giorni all’anno e può essere molto forte. È un elemento fondante del terroir. Le vigne hanno novanta anni di età e riposano su un suolo decisamente sassoso. Alcuni filari di grenache (che rappresenta il 60% del blend) hanno oltre cento anni. A completamento ci sono poi un 15% ciascuno di mourvèdre e syrah e poi altre uve complantate tra cui la clairette. Il 2009 a Vieux Télégraphe è stato più secco che caldo. Il naso è spettacolare, tra agrumi, spezie dolci e carne affumicata. L’insieme rimane fine pur se di grande complessità. Al palato il vino alterna sensazioni calde ad altre più fredde che ricordano la cenere e il minerale. I tannini sono maturi, l’alcol è ben presente senza dominare. Ha una buonissima progressione, non cede un attimo e termina su ricordi di liquirizia, erbe e frutta calda, portati dalla grenache. (92/100)

Château Rieussec, Sauternes 1er Grand Cru Classé 2009. Rieussec appartiene alla galassia dei Rothschild ed è uno dei cru più vicini a Yquem. Alcune vigne sono più alte di quelle del famoso vicino. Il suolo è composito e comprende argille, pietre e grave. Il vino è composto maggioritariamente da sémillon, il sauvignon è poco presente. Il lavoro consiste nel portare la vigna ad esprimere una grande pourriture noble, il marciume nobile che conferisce gli aromi più tipici del Sauternes. Il 2009 ha avuto una buona percentuale di botrytis, sviluppatasi velocemente, al contrario del 2008 che ha visto un andamento molto più progressivo. Questo ho richiesto una vendemmia molto rapida per evitare di avere degli acini caramellizzati. Il naso è molto bello, si intuisce la presenza fondamentale della botrite. I toni vanno verso l’esotico, il vino è quasi barocco nella sua ricchezza aromatica. Una parte è più ricca e ricorda lo zucchero d’orzo e le spezie come lo zafferano. Poi arrivano dei toni più freschi di frutta fresca. Voluttuoso ed opulento, riesce ad essere leggero e quasi beverino. Finale di cocco, vaniglia ed ananas victoria. (92/100)