Gli italiani tendono a denigrarsi

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“Gli italiani tendono a denigrarsi, farebbero bene a ragionare anche sui propri punti di forza…”
Ecco, questa frase è da sottoscrivere, per l’Italia e anche per quel che riguarda il mondo del vino. Dalle nostre parti non si fa altro che sparlare degli altri, quasi che il successo di una denominazione, di un territorio, di uno stile fosse un fastidio, anziché un viatico per l’affermazione complessiva del vino italiano. Giusto per fare un esempio, va forte il Prosecco? Avanti a dire che “sì però i prezzi sono bassi, sì però ci vuole più qualità, si però inquina, sì però è una monocoltura, sì però…” È tutto un distinguo, un cercare o un costruire il difetto, il punto di debolezza, l’elemento di fragilità. Quasi nessuno che pensi, invece, a come accodarsi al treno prosecchista in piena corsa per far meglio valere il vino italiano sui mercati del mondo.
Il fatto è che quella frase là sopra non l’ha detta un uomo del vino, e neppure è riferita al vino, bensì – appunto – ad un classico vizio italiano. L’ha detto un banchiere. Era nell’intervista a Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di UniCredit, pubblicata ieri dal Corriere Economia, il supplemento economico del Corriere della Sera.
Lui è francese. Dell’Italia parla così: “Nonostante tutto quello che si dice, credo che il Paese abbia un buon modello per affrontare il 21esimo secolo. Ha pochi grandi gruppi, ma tanti imprenditori di piccole e medie dimensioni che sono più reattivi, innovativi e creativi. In un mondo che chiede spesso discontinuità e cambiamento, possono adattarsi meglio. Gli italiani tendono a denigrarsi, farebbero bene a ragionare anche sui propri punti di forza…”
Sembra il ritratto del vino italiano, della struttura del comparto vinicolo nazionale. Che forse, a sua volta, è il ritratto dell’Italia. Avanti, proviamo a non autodenigrarci.