Giusto per dire della supremazia del Barolo

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Molte volte, si sa, abbiamo bisogno di semplificazioni. Capisco dunque che ci sia chi mi chieda quale sia il miglior vino d’Italia, intendendo con questo non un’etichetta, bensì una zona o una denominazione. Ebbene, se sono costretto ad assecondare l’interlocutore in una sorta di risposta a quel gioco che ti domanda che cosa vorresti portare con te su un’isola deserta, avendo una sola opzione, rispondo: Barolo.
Non ho dubbi del resto sulla supremazia del Barolo su qualunque altra denominazione italiana, se si deve andare per forza a una semplificazione.
Bene, tutto questo m’è tornato alla mente stappando qualche sera fa una bottiglia di Barolo di quelli che non aspirano a premi e medaglie, ma ad esprimere invece il nebbiolo come viene sulle terre baroliste (e non è davvero cosa da poco quest’aspirazione). È il Barolo Ferrero, e per tale deve intendersi il vino dell’azienda agricola Ferrero Bruno di Ferrero Giuseppe (così sta scritto in etichetta), che sta proprio a Barolo. Annata 2001, conservata da tempo nella mia cantina.
Ecco, una bottiglia così, pur senza la pretesa di strafare, conferma l’eccellenza del Barolo. Perché è insieme esempio di rusticità contadina e di eleganza territoriale, di articolazione sensoriale e di facilità di beva, capace di ispirare pensieri, ma anche di accompagnare bonariamente il cibo. La quadratura del cerchio, senza mai tirare la corda. Come accade spesso con le bottiglie di Barolo, che sono capaci di raddrizzarti la serata dopo una giornata che è andata un po’ storta, com’è capitato a me.
Come fai – osservo – a combattere con una denominazione così? Pertanto, lo ammetto e lo confermo, sull’isola deserta mi ci porterei un Barolo. Giusto per dire della sua supremazia.
Barolo 2001 Ferrero
(88/100)

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